il vaccino anti tumore può diventare realtà

Vaccino contro i tumori. Questa volta è stato testato con successo prima su animali e poi su alcuni pazienti in stadio di melanoma avanzato dagli scienziati dell’Università Johannes Gutenberg a Mainz in Germania. Si tratta di un vaccino che  già a basse dosi induce una fortissima risposta da parte del sistema immunitario contro il tumore.
Il vaccino è costituito da una molecola di Rna – intercambiabile a seconda del tumore da combattere – inserita all’interno di palline di grasso sintetico (i liposomi, usati in terapia da più di 20 anni) che iniettate per endovena raggiungono il reticolo endoteliale (ovvero milza, linfonodi e midollo osseo) dove vengono inglobate (fagocitate) da cellule immunitarie specifiche, chiamate cellule dendritiche. Queste traducono prontamente l’Rna in una proteina tumorale ” l’antigene tumorale”- che scatena la reazione immunitaria.
Gli esperti hanno testato il vaccino con successo su topi da laboratorio affetti da vari tipi di cancro. Successivamente hanno ripetuto i test sui primi tre pazienti, tutti con un melanoma in stadio avanzato.
Lo stesso tipo tumore, l’anno scorso, era stato già studiato dai ricercatori della Washington University di Saint Louis, in collaborazione con l’University of Oklahoma, i quali avevavo testato il primo vaccino personalizzato (cioè costruito in base alle specifiche mutazioni genetiche del tumore in ogni singolo paziente) su tre pazienti.
Michele Maio, direttore del reparto di Immunoterapia oncologica dell’Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena e presidente di Nibit, Network italiano per la bioterapia dei tumori , afferma che da più di dieci anni i ricercatori cercano di potenziare i sistemi di difesa immunitaria contro il cancro con l’aiuto di un vaccino a base di Dna o di Rna. Questo studio è certamente un passo avanti, ma va chiarito che dire “universale” non significa che è stato identificato un vaccino, e quindi una proteina, che funziona su tutti i tipi di tumore, ma si riferisce alla metodica: poiché il contenuto a Rna può essere modificato a piacimento a seconda del tumore da combattere.
I vaccini a Rna sono un’evoluzione di quelli a Dna, ed entrambi rappresentano una potenziale strategia di cura anti-tumorale. Il primo è più “semplice” afferma Maio, in quanto in questo caso non si usano virus inattivati su cui caricare le sequenze di Dna che devono poi raggiungere le cellule del sistema immunitario e incorporarle. Il vantaggio dell’Rna invece, è che può essere trasportato da una capsula lipidica e una volta raggiunta la cellula bersaglio viene tradotta nella proteina specifica. Inoltre, da un punto di vista tecnico, si possono usare anche più Rna contemporaneamente, che vengono poi tradotte in proteine diverse a seconda del tipo di tumore.

 

Sana alimentazione elisir lunga vita, nonni Cilento testimonial

“La pastina e il brodino? No, quelle le mangiano gli ammalati. Noi stiamo bene, non abbiamo problemi di salute e a pranzo prepariamo pasta, quando è possibile fatta in casa, con pomodoro fresco, coltivato e raccolto nei nostri terreni”. Parola di Giovannina, 85 anni, e Maria, 90, vivaci nonnine di Pioppi di Pollica (Sa), testimonianze viventi di come la giusta alimentazione possa essere l’elisir di una vita lunga e in salute.

La dieta mediterranea, nei territori in cui la ricerca scientifica su questo regime alimentare è nata e si è sviluppata, è uno dei temi del workshop “Dentro la neurologia del territorio – Workshop point of care su epilessia, Parkinson, Alzheimer e depressione“, che si è svolto a Pollica (Sa), organizzato da Ainat (associazione dei neurologi ambulatoriali).

“Il segreto della nostra longevità? Tanto lavoro nei campi e una sana alimentazione con i prodotti della nostra terra, a partire dalla colazione”, raccontano le lucidissime Giovannina e Maria, il cui stile di vita, insieme a quello dei cosiddetti grandi anziani del Cilento, è ormai oggetto di studi e ricerche in tutto il mondo. “Riunendoci a Pollica, abbiamo voluto rendere omaggio alla dieta mediterranea e ai suoi effetti benefici anche nella prevenzione delle patologie neurologiche – spiega Gennaro Barbato, responsabile scientifico del workshop – L’ottimo stato di salute delle nonnine è un ulteriore riscontro, dal punto di vista pratico, degli studi scientifici sul rapporto tra longevità, sana alimentazione e qualità della vita. Mente sana in corpo ben nutrito, si potrebbe sintetizzare parafrasando un antico adagio”.

Sigaretta. Un fondo contro il cancro

Un fondo per finanziare l’acquisto di farmaci innovativi contro il cancro raccogliendo un centesimo per ogni sigaretta venduta: la proposta arriva da FederAnziani Senior Italia e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), che durante un incontro organizzato a Roma hanno discusso della proposta insieme al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

I dati snocciolati da FederAnziani evidenziano l’impatto del cancro sulla salute degli italiani. Ogni ora, infatti, in Italia vengono diagnosticati più di 40 nuovi casi di tumore, per un totale di oltre 363 mila diagnosi nel solo 2015. Fortunatamente la ricerca in campo oncologico ha permesso di aumentare le guarigioni; oggi, infatti, il numero di uomini e di donne che sconfiggono il cancro è aumentato, rispettivamente, del 18 e del 10%. “La ricerca scientifica ha reso disponibili armi sempre più efficaci come l’immunooncologia e le terapie target personalizzate”, ha sottolineato FederAnziani, aggiungendo però: “Questi primi risultati rischiano di essere effimeri senza un impegno concreto nel finanziare l’acquisto dei nuovi farmaci innovativi”.

La proposta di FederAnziani è farlo raccogliendo un centesimo con ciascuna sigaretta venduta. “Lo Stato ricava circa 11 miliardi di euro dalle accise del tabacco e impiega queste risorse in vario modo tranne quello che curarne gli effetti quando ne basterebbe una piccolissima parte, anche solo il 5%, per garantire pieno accesso a tutti i malati ai tanti farmaci in arrivo sul mercato – ha sottolineato la federazione – Per questo chiediamo al Premier Matteo Renzi, al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e al Ministro dell’Economia Piercarlo Padoan di impegnarsi entro il 2016 a Istituire un Fondo Nazionale per l’Oncologia finanziato con un centesimo in più per ogni sigaretta, per un totale di 720 milioni di euro l’anno”.

Da parte sua, il Ministro della Salute non ha escluso la possibilità di prendere in considerazione la proposta, sottolineando però la necessità di condividere e comunicare la decisione “con efficacia” per evitare che venga rifiutata e percepita “solo come una nuova tassa”. Nell’attesa che qualcosa si smuova FederAnziani ha colto l’occasione del convegno per lanciare una raccolta firme a sostegno della sua petizione sul tema.

Aborto, Consiglio d’Europa contro l’Italia: discriminati medici e infermieri non obiettori. Lorenzin: dati vecchi

L’Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza in materia di aborto. Lo afferma il Consiglio d’Europa, accogliendo un ricorso della Cgil e sostenendo che questi sanitari sono vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. “Gli svantaggi subiti dal personale che non ha fatto obiezione”, secondo l’organizzazione di Strasburgo, “emergono semplicemente dal fatto che certi medici forniscono servizi di aborto nel rispetto della legge”, e “quindi non c’è alcun motivo ragionevole od obiettivo per questa disparità di trattamento”.

Soddisfatta per la decisione Susanna Camusso, segretario generale della Cgil: “Una sentenza importante – commenta – perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta. Il sistema sanitario nazionale, deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata. Questa decisione del Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all’interruzione di gravidanza libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna”. La ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, si dice invece stupita: “Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma sono molto stupita perché dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso”. E aggiunge: “Dal 2013 a oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e nella relazione che abbiamo presentato al Parlamento recentemente non ci risulta una sfasatura. Ci sono soltanto alcune aziende pubbliche che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione. E siamo intervenuti anche richiamando”. Per il ministro “siamo nella norma, anche al di sotto. E non c’è assolutamente lesione del diritto alla salute”.

Alla ministra controreplica lo stesso sindacato. “I dati sono aggiornati alla pubblica udienza che si è tenuta davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo il 7 settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal ministero della Salute e dal Governo italiano” afferma la responsabile politiche di genere Cgil, Loredana Taddei. “Auspichiamo un confronto serio e definitivo che conduca l’Italia a superare questo stato di disapplicazione e disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni”.

Percorso difficile. Il Consiglio d’Europa riprovera l’Italia perché, nonostante la legge 194/78, l’accesso ai servizi di interruzione volontaria è complicato. L’organismo europeo ha dichiarato, dunque, “ammissibile” il ricorso della Cgil alla Corte sulla violazione dei diritti alla salute delle donne che intendono accedere all’interruzione di gravidanza (secondo le modalità previste dalla legge) e dei medici non obiettori di coscienza.

“Le donne che cercano accesso ai servizi di aborto -si legge nelle conclusioni – continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge “.

Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa denuncia una situazione in cui “in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78”.

Secondo il Comitato, quest tipo di situazioni possono “comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute”.

Pd: “Situazione grave”. “Durante questa legislatura ho presentato diverse interrogazioni al governo sul tema – ha detto la deputata del Pd, Roberta Agostini -. In alcune regioni le percentuali di obiezione tra i ginecologi sono superiori all’80%: in Molise (93,3%), in Basilicata (90,2%), in Sicilia (87,6%), in Puglia (86,1%), in Campania (81,8%), nel Lazio e in Abruzzo (80,7%). Quattro ospedali pubblici su dieci, di fatto, non applicano la legge 194 e continuano ad aumentare gli aborti clandestini. È del tutto evidente come in Italia si stia violando il diritto alla salute delle donne e quanto sia urgente garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza in ogni struttura e su tutto il territorio nazionale, nella piena applicazione della legge 194 del 1978. Chiediamo al governo e alle regioni di agire subito assumendo le misure opportune e necessarie per assicurare i diritti delle donne e dei medici”.

Turco: “Parlamento faccia di più”. “Il pronunciamento del Consiglio d’Europa rileva che l’Italia, al di là dei dati rassicuranti della relazione al Parlamento sull’applicazione della 194, deve fare di più e meglio. Il tema dell’aborto deve essere centrale nelle decisioni politiche e non marginale come invece è”, ha commentato l’ex ministra della Sanità, Livia Turco. “Ci deve essere una vigilanza concreta – insiste- e vanno attivate tutte le azioni pratiche possibili per una regolamentazione efficace dell’obiezione di coscienza, di cui indicazioni efficaci sono contenute nella relazione della commissione di bioetica della Presidenza del Consiglio presieduta da Casavola”.

Meloni contro Strasburgo: “Pronunciamenti ridicoli”. Non concorda con il Consiglio d’Europa la leader di Fdi, Giorgia Meloni, candidata a sindaco di Roma: “I pronunciamenti del Consiglio d’Europa sono ridicoli: si occupano solo di questioni ideologiche, come del resto fa anche la Cgil. In Italia non è troppo difficile abortire: è difficile avere un bambino, anche grazie alle politiche delle istituzioni europee che hanno affamato le famiglie italiane per rimpinguare le casse delle grandi banche e delle lobby che le governano. Cominciamo a destinare al sostegno alla maternità i fondi europei, poi vedremo quante saranno le donne che vorranno abortire”.

fonte repubblica.it

Oms ricorda l’importanza dell’attività fisica

La mancanza di attività fisica uccide ogni anno 1 milione di persone in tutta Europa e fa perdere 8,3 milioni di anni al netto della disabilità. A ricordarlo in occasione di un convegno organizzato a Roma è l’Uisp – l’Unione italiana sport per tutti – che ha curato la traduzione dell’edizione italiana del documento Strategia per l’attività fisica OMS-Organizzazione Mondiale della Sanità 2016-2020 per l’Europa.

L’Oms raccomanda di garantirsi un livello adeguato di attività fisica sin dall’infanzia. Bambini ragazzi dovrebbero praticarne almeno 60 minuti al giorno, ad un’intensità moderata-alta. In età adulta si dovrebbe proseguire con almeno 150 minuti di attività aerobica di intensità moderata alla settimana, da continuare a praticare anche durante la terza età. “Le raccomandazioni attuali insistono sui benefici per la salute di un’attività a intensità moderata – si legge nel documento – e sul fatto che i livelli consigliati possono essere accumulati esercitandosi per intervalli relativamente brevi di tempo”. Purtroppo, però, in Europa i livelli di attività fisica iniziano a diminuire già a partire dagli 11 anni di età, soprattutto fra le ragazze. “Ciò – sottolinea l’Oms – contribuisce all’aumento dei bambini sovrappeso ed obesi in Europa, soprattutto tra le fasce socioeconomiche più deboli”. Contesti svantaggiati sono associati a una maggiore inattività fisica anche nella popolazione adulta e anziana. Infine, ad essere più esposti ai rischi della mancanza di attività fisica sono anche alcune minoranze etniche e le persone con disabilità.

Le conseguenze sulla salute della popolazione sono evidenti. Oltre a far ingrassare (in diversi paesi della Regione europea dell’Oms l’incidenza di sovrappeso e obesità nella popolazione adulta arriva quasi al 70%), l’inattività fisica causa il 5% dei problemi coronarici, il 7% dei casi di diabete di tipo 2, il 9% dei tumori al seno e il 10% dei tumori del colon. La collettività ne fa le spese sia in termini di costi diretti per il sistema sanitario che di costi indiretti dovuti a congedi per malattia, inabilità al lavoro e decessi precoci. Per questo l’Oms si è posta l’obiettivo di ridurre del 10% la prevalenza relativa dell’inattività fisica entro il 2025. In questo modo sarebbe possibile anche contribuire al raggiungimento di altri traguardi, in particolare la riduzione della mortalità precoce associata a malattie cardiovascolari, tumori, diabete e malattie respiratorie croniche, il contenimento della prevalenza dell’ipertensione e l’arresto dell’aumento dell’incidenza di diabete e obesità. Perché ciò sia possibile l’Uisp chiede opportune politiche in tema di salute, urbanistica, ambiente e sport. “Le strategie dell’Oms che abbiamo presentato – ha sottolineato Vincenzo Manco, presidente nazionale dell’associazione, in occasione del convegno romano – ci incoraggiano in questo senso. Chiediamo politiche pubbliche integrate e orientate a questi obiettivi”.

Le sette molecole della giovinezza

Okinawa è un’isola giapponese famosa perché detiene il record mondiale di centenari e ultra-centenari. Malattie come cancro e Alzheimer hanno un’incidenza bassissima tra la popolazione e molto si deve all’alimentazione, moderata, varia, ricca di verdure e di antiossidanti. È la famosa dieta studiata dal Centro di ricerca sulla longevità che ha sede sull’isola e descritta nel libro “Okinawa l’isola dei centenari” di Bradley Willcox, Craig Willcox e Makoto Suzuki. Una dieta non molto diversa da quella mediterranea, con moltissima verdura, frutta e carboidrati. Soprattutto tè, cetrioli, insalata, arance, mele, zucchine, yogurt magri e alghe. Adesso un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Scienza e Tecnologia di Okinawa, con sede a Onna, ha fatto un passo avanti sulla conoscenza che abbiamo dell’invecchiamento, iniziando a catalogare le principali molecole presenti (o carenti) nel sangue quando invecchiamo e confrontandole con quelle presenti (o carenti) nel sangue di giovani.

Antiossidanti e funzionalità dei muscoli

Una “carta d’identità molecolare” tracciata nel sangue, i cui risultati sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences. Come spiega Mitsuhiro Yanagida, primo autore dello studio, sono stati identificati composti carenti nel sangue degli anziani e abbondanti in quello dei giovani, in particolare antiossidanti e molecole importanti per la forza dei muscoli. Ciò suggerisce che sviluppando sistemi volti ad aumentare le concentrazioni di queste sostanze nel sangue si potrebbe rallentare l’invecchiamento, aumentare la longevità e soprattutto garantire una lunga vecchiaia in buona salute. Yanagida e colleghi hanno confrontato la composizione del sangue di 15 giovani (età media 29 anni) e 15 anziani (età media 81 anni) con una particolare tecnica (cromatografia liquida-spettrometria di massa) per misurare la concentrazione di alcune sostanze. Quindi hanno isolato 14 metaboliti (prodotti o componenti del metabolismo), di cui 7 abbondanti nel sangue dei giovani ma non in quello degli anziani e 7 abbondanti nel sangue degli anziani ma non in quello dei giovani.

Sette molecole dei giovani, sette degli anziani

Le “sette molecole della giovinezza” sono soprattutto antiossidanti e composti fondamentali per la salute dei muscoli, per esempio carnosina (legata all’attività fisica svolta dall’individuo), N-acetil glucosamina, NAD+ (uno dei mattoni fondamentali del metabolismo ossidativo, che è la “centrale elettrica” che produce energia), 1,5-anidroglucitolo, leucina (un aminoacido). Gli studiosi di Okinawa hanno poi trovato 7 molecole più abbondanti nel sangue degli anziani. Si tratta soprattutto di sostanze legate a una ridotta funzione di reni e fegato: tra queste la citrullina (aminoacido raro che fa parte degli istoni che stanno intorno al Dna), l’acido pantotenico (o vitamina B5, che viene assunta esclusivamente dalla dieta ed è indispensabile per la sintesi di proteine), la N-acetil arginina.

L’importanza del metabolismo nella salute

«È un lavoro che promette molto, anche se non c’è una scoperta diretta sui principali obiettivi della ricerca attuale, che sono riconoscere in anticipo i segni delle future malattie e rallentare il processo di invecchiamento – spiega PierGiuseppe Pelicci, Direttore della Ricerca all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Lo studio giapponese ha però in sé elementi di novità che aprono un filone, i cui risultati preliminari sono estremamente promettenti». Al centro del lavoro, aggiunge Pelicci, c’è il funzionamento del metabolismo, «che non è solo il “motorino” che produce l’energia di cui abbiamo bisogno, ma un sistema biologico importantissimo che può essere manipolato e modificato e che influenza l’insorgenza delle malattie. Un apparato che è al centro della vita della cellula, i cui compiti sono immagazzinare energia, renderla disponibile e costruire i “mattoni” di qualsiasi molecola che forma il nostro organismo. È una macchina modulabile, a rischio di malfunzionamento ma anche passibile di modifiche a favore della salute e della longevità».

Conoscerlo per poterlo modificare

Per poter intervenire sul metabolismo del singolo individuo, continua il professor Pelicci, è necessario conoscerlo e questo studio è utile proprio in questo senso. «Finora non avevamo strumenti di misurazione accurati dei metaboliti – continua l’esperto -; gli scienziati giapponesi sono invece riusciti, tramite una metodica molto avanzata, a misurare con precisione i livelli di alcuni metaboliti nel sangue che danno un quadro delle caratteristiche dell’individuo. Si apre un’autostrada per future ricerche sull’invecchiamento. Anche perché in questo studio sono stati presi in considerazione anziani di Okinawa (attenzione, non centenari, che hanno caratteristiche completamente diverse) e dunque sarà poi possibile confrontare i dati di questi soggetti con quelli di ottantenni che vivono in altre zone del mondo, meno fortunate in quanto a longevità».

Un apparato complesso (e importantissimo)

Ma perché il metabolismo è così importante? «Abbiamo bisogno di trasformare il cibo in energia e questo è ciò che fa il metabolismo – spiega Pelicci -, ma il processo è ancora più complesso. Un individuo non può dipendere dall’energia fornita dagli alimenti per ogni attività quotidiana svolta e dunque il cibo deve essere trasformato in energia accumulabile (le riserve si trovano nel tessuto adiposo). Il secondo livello di complessità è dato dal fatto che gli stessi apparati usano l’energia presa dal cibo e alcuni componenti del cibo stesso per sintetizzare nuove molecole (proteine, zuccheri e lipidi) che vanno a formare il nostro organismo. È un lavoro incessante, importantissimo». Quali sono i fattori esterni che incidono di più su questo sistema? «In primo luogo il cibo, ma anche l’esercizio fisico. Ed esistono molti farmaci che agiscono sul sistema metabolico». La strada per future ricerche è aperta e l’invecchiamento sarà, si spera, un mondo sempre meno misterioso.

fonte Il Corriere della Sera

Salute: contro la calvizie biostimolazione delle staminali dei follicoli

L’arma della medicina rigenerativa per una chioma nuova. In Italia sono più di 18 milioni gli uomini che soffrono di alopecia androgenetica e circa 4 mln le donne: arretramento dell’attaccatura dei capelli per lui, diradamento diffuso su tutta la testa per lei. Sotto accusa ci sono soprattutto fattori genetici, ma pesano anche l’ambiente, l’alimentazione, gli stili di vita. Per affrontare il problema senza chirurgia c’è la biostimolazione delle cellule staminali del follicolo pilifero. Con un protocollo medico ad hoc, la ‘Rigenerazione cellulare bSBS‘, disponibile anche in Italia.

Come dimostrato da recenti studi – ricordano gli esperti – l’alopecia androgenetica è provocata dalla sofferenza del bulbo pilifero, che rende sempre più difficoltosa l’attività rigenerativa del follicolo che a sua volta diventa sempre più piccolo, fino a chiudersi. La stimolazione rigenerativa delle cellule follicolari cerca di contrastare proprio questo processo.

La parola chiave è dunque “medicina rigenerativa: un insieme di attività interdisciplinari volte a rigenerare cellule, organi e tessuti compromessi da malattie o dall’invecchiamento cellulare. L’obiettivo non è quello di sostituire il tessuto, ma di rigenerarlo biologicamente. Le terapie a base di fattori di crescita piastrinici ad alta qualità e le cellule ad alta capacità rigenerativa (autologhi del paziente stesso), associati a una cura ad personam, possono regolare l’attività di vita dei bulbi, promuovere una crescita migliore dei fusti dei capelli e una stimolazione da parte delle cellule staminali che ancora rimangono all’interno del cuoio capelluto, e quindi ottenere una significativa ricrescita di capelli e un aumento della densità globale”.

Il protocollo medico non chirurgico di ‘Rigenerazione cellulare bSBS‘ viene proposto da HairClinic e sfrutta le cellule staminali e i fibroblasti del paziente, escludendo il ricorso all’intervento chirurgico. Il protocollo bSBS interviene sulla biostimolazione delle staminali del follicolo pilifero e si popone come “una terapia che si adatta ad ogni paziente, a prescindere dall’età. Nella prima fase viene prelevato un campione di plasma delle cellule ad alta capacità rigenerativa con un metodo che, dopo aver centrifugato gli elementi contenuti nel campione, li separa in maniera automatizzata grazie a un lettore laser, in modo da poter usufruire di tutte le potenzialità di ricrescita solo delle cellule migliori estratte. Quindi si procede con micro-iniezioni localizzate nel cuoio capelluto, con i fattori di crescita estratti e con il pool cellulare selezionato”.

“L’alopecia rappresenta oggi una vera e propria problematica che coinvolge più del 15% della popolazione italiana – spiega Mauro Conti, direttore scientifico del gruppo biomedico HairClinic, specializzato nella cura dell’alopecia e dei problemi legati all’indebolimento dei capelli – manifestandosi con una serie di fenomeni tra i quali i più comuni sono un lento e progressivo diradamento dei capelli, un considerevole aumento della caduta dei capelli stessi e molto spesso un loro evidente assottigliamento”.

“Poiché non esiste una diagnosi classica a cui un paziente affetto da alopecia possa sottoporsi – precisa Conti – diventa fondamentale prestare attenzione a zone che risultano diradate o stempiate. Al di là di questo si può procedere con una ‘profilazione clinica del paziente’ mediante una serie di esami, e proprio nel caso di alopecia aerata o androgenetica è imprescindibile il raccolto anamnestico del paziente da cui arrivare successivamente alla valutazione di terapie mirate”, proprio perché “la perdita dei capelli ha cause tra le più diverse e variabili ampiamente da un soggetto all’altro”.

fonte AdnKronos Salute