Prevenire è vivere: Al Via la Campagna LILT “Nastro Rosa 2014”

header_nuovologoAnche nel 2014, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori dedicherà il mese di ottobre alla campagna “Nastro Rosa” per la prevenzione del cancro al seno.

Sul territorio nazionale, la LILT metterà a disposizione i propri 397 ambulatori, per visite senologiche e controlli diagnostici gratuiti, rivolgendosi alle donne,  alle affette da patologie mastotumorali e coinvolgendone anche le famiglie, nel segno della condivisione del cammino terapico verso la guarigione.

La manifestazione, alla sua XXII edizione in Italia, si candida a partecipare al calendario di eventi tematici previsti in ambito mondiale, in nome della sensibilizzazione allo screening ed alla cura.

Alla campagna 2014 aderiranno ben settanta Paesi, testimoniando la propria partecipazione colorando di rosa, la notte del 1° ottobre, i rispettivi monumenti, dalle Cascate del Niagara all’Empire State Building a New York, dall’Opera House di Sidney alla Torre di Tokyo, dal Ponte di Nan Pu a Shangai all’Arena di Amsterdam.

Vestiranno in rosa anche il Campidoglio a Roma, la Tower Unicredit e le vie del Quadrilatero della moda a Milano, i cui negozi, – in particolare il brand Estèe Lauder – , devolveranno una percentuale delle vendite in favore della LILT.

Mediata dalle tinte del glamour e dall’attrice testimonial Nicoletta Romanoff, l’iniziativa punta a ricordare con rinnovata urgenza l’importanza dei controlli periodici e della diagnosi precoce, tanto più efficace alla luce delle recenti statistiche di incidenza e diffusione nella popolazione femminile più giovane.

In Italia ci sono circa 46.000 nuovi casi all’anno di tumore mammario”, – ha dichiarato il Presidente della LILT dott. Francesco Schittulli, senologo e chirurgo oncologo – , “con un aumento di incidenza del 14% negli ultimi sei anni. Per le donne tra i 25 e i 44 anni, però, l’incremento è stato ben più alto, del 30% circa. Oggi, grazie a nuove tecnologie diagnostiche di imaging sempre più sofisticate, insieme alla risonanza magnetica mammaria, possiamo individuare lesioni millimetriche in fase iniziale, quando il grado di malignità e l’indice di aggressività del tumore sono bassi e il processo di metastatizzazione quasi nullo. Scoprendo un carcinoma sotto un centimetro la probabilità di guarigione sale al 90% e questo consente anche interventi conservativi, che non provocano danni estetici”.

Tutte le informazioni utili per l’accesso ai servizi clinici saranno rese disponibili ai siti www.lilt.it, www.nastrorosa.it ed al numero verde 800.998877.

Petula Brafa

Il paziente odontoiatrico

Dott. Roberto Antoni

Svolgo la professione di Odontostomatologo da più di venti anni e nel corso della mia attività lavorativa ho visitato e visto molti pazienti, alcuni con terapie odontoiatriche e piani di trattamento alquanto dubbi, altri, con terapie eseguite correttamente, con buona capacità e perizia tecnica da parte del medico che le aveva eseguite, unite ad una adeguata motivazione del paziente, che hanno permesso di mantenere, nel tempo, il lavoro svolto dal professionista.   Ognuna di queste situazioni, porta nel suo background, il rapporto tra medico e paziente e la ottimale realtà che si  e venuta ad instaurare , che nel tempo ti gratificano e ti rendono soddisfatto di svolgere il tuo lavoro professionale. Proprio su una di queste circostanze desidero porre la mia riflessione, che mi ha riportato indietro nel tempo, ai miei primi approcci con la terapia chirurgica implantare.

Nel mese di luglio 2007, la mia segretaria riceve la telefonata di una paziente, che richiedeva di essere sottoposta ad una visita di controllo prima di partire per le vacanze estive. Dopo una breve conversazione l’addetta agli appuntamenti si rendeva conto che la paziente, sulla quale era stata eseguita una terapia chirurgica implantare e successiva riabilitazione protesica, non veniva alla nostra osservazione da più di quattro anni. Essendo a conoscenza del tipo di screening da me richiesto per questo tipo di trattamenti, la segretaria consigliava alla paziente di eseguire una semplice ortopantomografia e presentarsi a visita a distanza di quindici giorni con l’esame strumentale richiesto.

Il giorno stabilito per l’appuntamento, la paziente si presentava alla mia osservazione con gli esami strumentali richiesti. Dopo una prima visita della cavità orale, che evidenziava la presenza di 12 elementi protesi superiori da 17 a 25 e 7 elementi protesici inferiori da 35 a 37 e da 43 a 46, una modica gengivite marginale con presenza di placca batterica pur non essendo presente sanguinamento al sondaggio.

La vera sorpresa è stata la visione dell’ortopantomografia, la quale evidenziava, che le corone presenti sugli elementi 13-14-16, 23-25 e 43-44-45-46, poggiavano su impianti endossei ed un più attento esame rilevava essere tutti impianti Straumann applicati in epoche diverse, che non presentavano alcun segno di riassorbimento osseo marcato, compatibilmente con l’età della paziente, che è di 72 anni. (foto 6).

   Si procedeva ad eseguire una terapia parodontale con ablazione del tartaro, levigatura e curettage considerando che la presenza di impianti endossei richiedeva alcune cautele nell’eseguire il piano di trattamento stabilito. Si invitava la paziente a mantenere una buona igiene orale con una terapia domiciliare di mantenimento ed a presentarsi ad una nuova visita a distanza di quindici giorni al fine di controllare se la terapia eseguita presso lo studio e quella indicata alla paziente da effettuare presso la propria abitazione erano andate a buon fine. Il successivo controllo,un buono stato di igiene della cavità orale e degli elementi dentali, si congedava la paziente augurandogli una buona vacanza ed invitandola a ritornare a controllo a distanza di tre mesi.

   Preso da una forte curiosità sono andato a ricercare nel il mio archivio, la cartella clinica della paziente per risalire a tutti gli interventi eseguiti e soprattutto, vedere in quale anno erano stati applicati i primi impianti. Nella lettura della storia clinica della paziente, riscontravo che quest’ultima si era presentata alla mia osservazione nell’aprile del 1993, per eseguire una riabilitazione protesica mediante impianti.

Dopo la raccolta anmestica della paziente, che non presentava controindicazioni generali, ne locali all’esecuzione degli impianti, furono prese le impronte dell’arcata superiore ed inferiore per lo studio del caso. Poiché mancavano gli elementi dentali 23-24-25-26-45-46, fu proposto alla paziente di applicare due impianti in zona 45-46 e tre impianti in zona 23-25-26, quest’ultimo con un intervento sul seno mascellare. La paziente accettò il piano di trattamento proposto, con l’eccezione dell’intervento in zona 26, per motivi personali, pur dandogli tutte le informazioni del caso.

Nel Maggio 1993 furono applicati, in due sedute chirurgiche differenti, per scelta della paziente, gli impianti.

Nella prima seduta, sotto la guida di una dima chirurgica, furono inseriti due impianti della Straumann, in zona 23- 25, del diametro di 4,1 mm e della lunghezza di 10 mm. Il primo, in zona 23, era un impianto cilindro-cavo con una angolazione di 15 gradi (non esistevano allora i monconi angolati), mentre il secondo era una vite cava standard. A distanza di due settimane, furono inseriti, sempre seguendo lo stesso protocollo chirurgico, gli altri due impianti Straumann del tipo vite cava del diametro di 4,1 mm e della lunghezza di 10 mm., nella zona 45-46.

La protesi sugli impianti, fu applicata a distanza di sei mesi, poiché, allora, la scuola consigliava l’applicazione di elementi protesi su impianti a distanza di tre mesi per quelli inferiori e sei mesi i superiori. Per il confezionamento degli elementi protesi, che avvenne nel novembre 1993, si optò per una serie di progettazioni tecniche. Per l’impianto in zona 23 fu realizzata, in laboratorio una mesostruttura avvitata all’impianto, mentre sul quello in zona 25 fu inserito un moncone di 6 gradi, rifinito nella cavità orale. Inferiormente si preferì eseguire una protesi con fissaggio transocclusale. Per le impronte di precisione, prese con materiali siliconici, furono utilizzati i componenti protesici allora a disposizione.

La protesi fu portata a termine nel dicembre 1993, con piena soddisfazione della paziente che tornò ai successivi controlli periodici, dapprima mensili e successivamente trimestrali per i due anni successivi all’inserimento degli impianti.

Da questa data, la paziente è ritornata nel mio studio, nel dicembre 2000, per farsi sostituire degli elementi protesi su denti naturali. La visione della orto panoramica evidenziò delle alterazioni a carico degli elementi dentali 13-14-16-43-44, tali da consigliarne l’estrazione.

Il piano di trattamento proposto all’epoca, fu quello di estrarre i denti non recuperabili e sostituire gli stessi con impianti a distanza di tre mesi. Per tale motivo nell’aprile del 2001, furono applicati 2 impianti all’arcata inferiore in zona 43-44 del tipo vite piena con un diametro standard, nell’arcata superiore furono inseriti due impianti standard in zona 13-14, mentre in corrispondenza della 16 fu applicato un impianto wide neck (WN) con concomitante grande rialzo del seno mascellare di destra.

Le successive protesi in oro ceramica e porcellana furono confezionate a distanza di quattro mesi. Fu consigliato alla paziente di sostituire anche le precedenti protesi fatte otto anni prima. A questo punto il problema era come integrare i precedenti impianti, che non presentavano alcun problema di sostegno con quelli attuali. Il nuovo ponte 23-24-25 fu preparato utilizzando i monconi su impianti preparati all’epoca per la parte inferiore si pensò di rimuovere le vecchie corone 45-46 con fissaggio transocclusale, applicare su questi impianti, una mesostruttura, mentre su quelli in zona 43-44 furono avvitati due monconi solidi dell’altezza di 4 mm. . Le impronte furono rilevate con materiale in silicone previa preparazione in laboratorio di transfert in resina epossidica per gli impianti 23-25-45-46, come già era stato fatto per la protesi 23-25, mentre per i restanti impianti furono utilizzati i transfert standard e confezionata successivamente una protesi unica in metallo ceramica da 43 a 46. La parte superiore di destra non presentò alcun problema tecnico fu semplicemente inserito un moncone solido angolato a 15 gradi sull’impianto WN e due monconi solidi alti 5.5 mm sugli impianti in corrispondenza del 13 e 14, successiva impronta in silicone e confezionamento di una protesi metallo ceramica 13 16. La riabilitazione protesi completa, con corone in metallo ceramica, previo montaggio in articolare, venne integralmente portata a termine nel novembre 2001, integrando gli impianti Straumann di vecchia generazione con quelli di nuova concezione, evidenziando come questa metodica implantare possa essere utilizzata con estrema facilità per la riabilitazione protesica, grazie al tipo di concezione continuativa fatta dalla casa.

La paziente ritornò ai controlli preposti per circa tre anni, poi nonostante i nostri solleciti a tornata solo recentemente e a parte la semplice gengivite per la quale sono state utilizzate le indicazioni terapeutiche del caso, gli impianti erano in perfetta salute (foto 7-8-9). La visione di questo caso mi fatto ritornare indietro nel tempo, quando nel 1988, ho iniziato ad interessarmi di implantologia; quando gli implantologi venivano annoverati come i dentisti della “terza dentizione”.

Staminali e tumore colon. Scoperto interruttore

staminaliScoperto il meccanismo che scatena la formazione delle metastasi nel tumore del colon: si tratta di un ‘interruttore’ nelle staminali del tumore che attiva la migrazione delle cellule maligne in altre parti del corpo.

Lo studio, coordinato da Giorgio Stassi dell’Università di Palermo e Ruggero De Maria dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, è stato pubblicato su Cell Stem Cell e potrebbe avere importanti applicazioni per la cura del tumore del colon. “Lo studio – ha spiegato De Maria – segue la scoperta, realizzata sempre dal nostro gruppo pochi anni fa, dell’esistenza di cellule staminali del tumore del colon, polmoni e tiroide.

Abbiamo ora individuato le staminali che formano le metastasi e i meccanismi che permettono loro di migrare attraverso i vasi sanguigni e linfatici riproducendo così il tumore in un’altra sede”.

Lo studio ha permesso di svelare che l’origine della metastasi è dovuta alla presenza di un recettore cellulare denominato CD44v6; se si disattiva questo recettore si blocca la capacità del tumore di dare origine alle metastasi. “Abbiamo dimostrato che tutte le cellule staminali tumorali del colon-retto – continua De Maria – esprimono sulla loro superficie il recettore CD44v6 che agisce da interruttore per la migrazione cellulare e la formazione delle metastasi”. Grazie a questa scoperta, sarà ora possibile mettere a punto farmaci capaci di ‘spegnere’ il recettore o aggredire le staminali tumorali durante le prime fasi, in cui sono vulnerabili. I primi trial clinici dovrebbero prendere il via entro il 2015 presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. La ricerca è stata possibile grazie al supporto dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc), attraverso i finanziamenti del programma ‘5 per mille’, dedicati a sostenere quelle ricerche che possono produrre più rapidamente benefici per i pazienti.

Barbecue al coperto. E’ pericoloso!

barbecueda Aduc – di Primo Mastrantoni

Cuocere in ambienti chiusi con barbecue che utilizzano carbone e’ pericoloso. Il carbone incandescente rilascia notevoli quantita’ di gas tossici, in particolare il monossido di carbonio (CO). Anche quando le finestre, le porte e la porta del garage sono aperte per “motivi di sicurezza”, le concentrazioni di CO possono fatalmente accumularsi. Questo rischio e’ presente con i dispositivi che vengono pubblicizzati come speciali “barbecue al coperto”. Lo stesso vale per le pentole carbone-powered, i cosiddetti “vasi a caldo”, se vengono utilizzati in luoghi chiusi come il soggiorno di casa o nel ristorante. L’avvertenza ci arriva dalla BFR tedesca che ha esaminato la concentrazione di CO che si raggiunge quando griglie a carbone sono utilizzate in luoghi chiusi e quanto tempo ci vuole prima che questo rappresenti un pericolo per le persone. Risultato: anche dopo un tempo relativamente breve si raggiungono livelli pericolosi di monossido di carbonio.
Ricordiamo che il monossido di carbonio e’ gas velenoso particolarmente insidioso in quanto inodore, incolore e insapore, interferisce con l’emoglobina, diminuendo la quantita’ di ossigeno ai tessuti ed in particolare al cervello che, ricevendo meno ossigeno, porta ad uno stato di incoscienza e poi alla morte.
Il consiglio, ovviamente e se proprio si vuole, e’ quello di fare barbecue all’aperto stando comunque distanti dai fumi.

Aviaria: 128.000 galline da abbattere in Emilia Romagna

gallineda La Stampa.it

Colpito un allevamento di galline ovaiole dal virus dell’influenza aviaria. Le analisi sono state fatte dal Centro nazionale di referenza di Padova: si tratta di un ceppo ad alta virulenza del tipo H7. L’allevamento colpito, composto da 128.000 galline, è a Ostellato (Ferrara).
L’azienda da ieri, quando si è manifestato il sospetto della malattia, è stata immediatamente isolata e sono state già predisposte dall’Ausl di Ferrara e dai Servizi Veterinari della Regione le operazioni di abbattimento, che inizieranno domani.
La Regione ha emanato un’ordinanza per l’attuazione di misure straordinarie previste dalla normativa sanitaria europea e nazionale per il contenimento dell’infezione, il monitoraggio degli allevamenti, per la tutela della salute pubblica, sotto lo stretto coordinamento dell’ assessore alle politiche per la salute Carlo Lusenti, dell’ assessore all’agricoltura Tiberio Rabboni e della vicepresidente Simonetta Saliera.
Le misure volte alla prevenzione della diffusione del virus prevedono tra l’altro l’istituzione di zone di protezione e sorveglianza dell’area colpita, il censimento di tutte le aziende e degli animali presenti, prelievi e accertamenti sierologici da parte dei veterinari, controlli straordinari su tutto il territorio regionale e la sospensione di fiere e mercati di animali di specie vulnerabili.

COSMETICI: occhio alla scadenza. L’80% sono contaminati. A rischio il mascara

cosmeticida Adico

Lo studio: contaminato l’80% dei campioni analizzati. A rischio il mascara.

Capita a molte donne di tenere rossetti, mascara e ombretti nei cassetti anche per anni, e usarli di quando in quando. Ma si tratta di un comportamento sbagliato e rischioso. anche i prodotti di make-up hanno una data di scadenza, che va rispettata meticolosamente, pena il rischio di incorrere in qualche infezione. Che il rischio sia concreto lo ha dimostrato uno studio studio brasiliano, che interrogando un campione di donne sulle proprie abitudini, e analizzando alcuni prodotti haprovato quanto sia pericoloso utilizzre prodotti “vecchi”.

Le interviste

Il gruppo di ricercatori, coordinati da Sandra E. Haas, dell’Universidade federal do Pampa, ha preso in esame 44 studentesse dai 18 ai 28 anni e ha sottoposto loro un questionario strutturato per indagarne le abitudini e capire se li impiegassero anche oltre la data della scadenza, se avessero mai notato degli effetti avversi, e se vi fosse un utilizzo condiviso.

Effetti avversi 3 volte su 10

La quasi totalità delle studentesse intervistate (97,7%) ha riportato un utilizzo successivo alla data di scadenza, particolarmente per il mascara (86,3%), per le matite occhi (79,5%), per rossetto e lucidalabbra (72,7%) e per l’ombretto (63,6%). Effetti avversi sono stati segnalati in circa tre risposte su 10.

Oltre la scadenza

Sotto accusa in particolare il mascara, il prodotto più utilizzato oltre la data di scandenza: l’area intorno agli occhi è infatti risultata quella maggiormente esposta a lacrimazioni, pruriti e arrossamenti, “I mascara – si legge nello studio – potrebbero provocare dermatiti sulla palpebra a causa dei coloranti e conservanti presenti nella loro formulazione e anche a causa della presenza di microrganismi”.

Milioni di batteri

Gli studiosi sono poi andati avanti, e hanno sottoposto ad analisi microbiologiche circa 40 campioni di mascara forniti loro dagli studenti: nel 79% dei campioni pè stata rilevata la presenza di Staphylococcus aureus, e nel 13% quella di Pseudomonas aeruginosa nel 13%.

Creme BEBE’: Attenti ad un conservante pericoloso

cremedi BARBARA LIVERZANI
FONTE: IL SALVAGENTE.IT

Cosa c’è dentro le creme protettive usate per il cambio dei bebè? Una domanda più che legittima visto che si tratta di cosmetici dedicati ai piccolissimi, e in quanto tali devono essere ultra-sicuri, e che, per giunta, sono usati in una zona estremamente delicata del corpo dei neonati. Le paste antiarrossamento agiscono in prossimità degli organi genitali dei bimbi e dunque, ancor più di altri cosmetici, devono essere usate con cautela e prestando la massima attenzione agli ingredienti che contengono.

Un conservante pericoloso

A stimolare ancor più l’attenzione del settimanale il Salvagente, che a queste creme dedica un ampio test sul numero in edicola da giovedì 14 marzo e in vendita in versione pdf e sfogliabile nel nostro negozio on line (numero 11/2013), è stata, di recente, una raccomandazione dell’Agenzia nazionale francese per la sicurezza dei medicinali e dei prodotti sanitari (Ansm) a proposito del phenoxyethanolo, un conservante ampiamente usato nei cosmetici ma da tempo sotto la lente di ingrandimento per i suoi possibili effetti tossici sulla riproduzione e lo sviluppo. Sospetti che sembrano sempre più fondati se l’Ansm è arrivata a raccomandare di non utilizzare il composto nei cosmetici destinati ai bambini sotto i tre anni di età.

L’allarme lo scorso novembre

In particolare, l’Agenzia sanitaria francese, con una nota diramata nel novembre scorso, ha invitato a non usare il phenoxyethanolo nei prodotti che vengono applicati sui glutei (le creme protettive appunto o le salviettine profumate) e di ridurre la sua concentrazione dall’attuale 1% allo 0,4% in tutti gli altri cosmetici.
Il Salvagente aveva già preso in considerazione le salviette imbevute verificando che ben 10 prodotti (dei 15 analizzati) contenevano il conservante sospetto. Questa settimana è stata la volta delle paste protettive per il cambio: 6 le creme colte in fallo per la presenza del “famigerato” conservante.

Nuovi sospetti

C’è da dire che il phenoxyethanolo non è affatto illegale e l’impiego nei cosmetici è approvato (pur nella concentrazione massima dell’1%) dalle autorità europee. Cosa è accaduto di nuovo, dunque, per spingere l’Agenzia francese a intervenire e a richiedere a sua volta un intervento da parte del Comitato scientifico per la sicurezza dei consumatori europeo?

Precauzione d’obbligo

È successo che dal 2009 l’Ansm ha condotto una nuova valutazione dei rischi d’uso del phenoxyethanolo nei cosmetici per bambini: gli studi tossicologici disponibili confermano la possibile tossicità per la riproduzione e lo sviluppo e, tenendo conto dell’esposizione cumulativa a tale sostanza, l’Agenzia ha ritenuto di sconsigliarne l’uso nei prodotti destinati ai piccolissimi.
In attesa che anche le autorità europee procedano a una rivalutazione del rischio, per il principio di precauzione sarebbe meglio evitare, a priori, i marchi che usano questo conservante, consiglia il settimanale dei consumatori.
Nel caso delle paste protettive per il cambio dei pannolini, poi, l’invito del Salvagente è di privilegiare prodotti naturali privi non solo di phenoxyethanolo, ma anche di parabeni e petrolati, questi ultimi sostanze di bassissima qualità ottenute dal petrolio e che sono diffusissime in questi cosmetici.

WELEDA

Baby crema protettiva alla calendula
Prezzo per 100 ml: 13,30 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

PURIS Baby care

Pasta protettiva
Prezzo per 100 ml: 3,90 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

PASTA HOFFMAN

Lenitiva antiarrossamento
Prezzo per 100 ml: 7 euro
Phenoxyethanolo: no

NIVEA BABY

Pasta protettiva emolliente
Prezzo per 100 ml: 3,49 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

MUSTELA

Prezzo per 100 ml: 7,20 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco, diossido di titanio
Phenoxyethanolo: no

AVEENO Baby

Crema barriera
Prezzo per 100 ml: 6,67 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

JOHNSON’S PEDIATRIC

Baby Pasta Protettiva
Prezzo per 100 ml: 7 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

PENATEN

Pasta protettiva
Prezzo per 100 ml: 5,60 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

A-DERMA

Eryase crema
Prezzo per 100 ml: 7,40 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: no

FISSAN Baby

Protezione e Natura
Prezzo per 100 ml: 6,50 euro
Petrolati: paraffinum liquidum, petrolatum
Phenoxyethanolo: sì

BABYGELLA

Pasta protettiva
Prezzo per 100 ml: 6,90 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: sì

AVÈNE Pediatril

Crema per il cambio
Prezzo per 100 ml: 15,20 euro
Petrolati: no
Phenoxyethanolo: sì

CHICCO

Pasta lenitiva
Prezzo per 100 ml: 4,80 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: sì

DERMOGELLA bébé

Baby Paste
Prezzo per 100 ml: 2,66 euro
Sostanze lenitive e protettive: ossido di zinco, olio di oliva
Phenoxyethanolo: sì

FISSAN Baby

Pasta Alta Protezione
Prezzo per 100 ml: 4,49 euro
Sostanze lenitive e protettieve: ossido di zinco
Phenoxyethanolo: sì