Il paziente odontoiatrico

Dott. Roberto Antoni

Svolgo la professione di Odontostomatologo da più di venti anni e nel corso della mia attività lavorativa ho visitato e visto molti pazienti, alcuni con terapie odontoiatriche e piani di trattamento alquanto dubbi, altri, con terapie eseguite correttamente, con buona capacità e perizia tecnica da parte del medico che le aveva eseguite, unite ad una adeguata motivazione del paziente, che hanno permesso di mantenere, nel tempo, il lavoro svolto dal professionista.   Ognuna di queste situazioni, porta nel suo background, il rapporto tra medico e paziente e la ottimale realtà che si  e venuta ad instaurare , che nel tempo ti gratificano e ti rendono soddisfatto di svolgere il tuo lavoro professionale. Proprio su una di queste circostanze desidero porre la mia riflessione, che mi ha riportato indietro nel tempo, ai miei primi approcci con la terapia chirurgica implantare.

Nel mese di luglio 2007, la mia segretaria riceve la telefonata di una paziente, che richiedeva di essere sottoposta ad una visita di controllo prima di partire per le vacanze estive. Dopo una breve conversazione l’addetta agli appuntamenti si rendeva conto che la paziente, sulla quale era stata eseguita una terapia chirurgica implantare e successiva riabilitazione protesica, non veniva alla nostra osservazione da più di quattro anni. Essendo a conoscenza del tipo di screening da me richiesto per questo tipo di trattamenti, la segretaria consigliava alla paziente di eseguire una semplice ortopantomografia e presentarsi a visita a distanza di quindici giorni con l’esame strumentale richiesto.

Il giorno stabilito per l’appuntamento, la paziente si presentava alla mia osservazione con gli esami strumentali richiesti. Dopo una prima visita della cavità orale, che evidenziava la presenza di 12 elementi protesi superiori da 17 a 25 e 7 elementi protesici inferiori da 35 a 37 e da 43 a 46, una modica gengivite marginale con presenza di placca batterica pur non essendo presente sanguinamento al sondaggio.

La vera sorpresa è stata la visione dell’ortopantomografia, la quale evidenziava, che le corone presenti sugli elementi 13-14-16, 23-25 e 43-44-45-46, poggiavano su impianti endossei ed un più attento esame rilevava essere tutti impianti Straumann applicati in epoche diverse, che non presentavano alcun segno di riassorbimento osseo marcato, compatibilmente con l’età della paziente, che è di 72 anni. (foto 6).

   Si procedeva ad eseguire una terapia parodontale con ablazione del tartaro, levigatura e curettage considerando che la presenza di impianti endossei richiedeva alcune cautele nell’eseguire il piano di trattamento stabilito. Si invitava la paziente a mantenere una buona igiene orale con una terapia domiciliare di mantenimento ed a presentarsi ad una nuova visita a distanza di quindici giorni al fine di controllare se la terapia eseguita presso lo studio e quella indicata alla paziente da effettuare presso la propria abitazione erano andate a buon fine. Il successivo controllo,un buono stato di igiene della cavità orale e degli elementi dentali, si congedava la paziente augurandogli una buona vacanza ed invitandola a ritornare a controllo a distanza di tre mesi.

   Preso da una forte curiosità sono andato a ricercare nel il mio archivio, la cartella clinica della paziente per risalire a tutti gli interventi eseguiti e soprattutto, vedere in quale anno erano stati applicati i primi impianti. Nella lettura della storia clinica della paziente, riscontravo che quest’ultima si era presentata alla mia osservazione nell’aprile del 1993, per eseguire una riabilitazione protesica mediante impianti.

Dopo la raccolta anmestica della paziente, che non presentava controindicazioni generali, ne locali all’esecuzione degli impianti, furono prese le impronte dell’arcata superiore ed inferiore per lo studio del caso. Poiché mancavano gli elementi dentali 23-24-25-26-45-46, fu proposto alla paziente di applicare due impianti in zona 45-46 e tre impianti in zona 23-25-26, quest’ultimo con un intervento sul seno mascellare. La paziente accettò il piano di trattamento proposto, con l’eccezione dell’intervento in zona 26, per motivi personali, pur dandogli tutte le informazioni del caso.

Nel Maggio 1993 furono applicati, in due sedute chirurgiche differenti, per scelta della paziente, gli impianti.

Nella prima seduta, sotto la guida di una dima chirurgica, furono inseriti due impianti della Straumann, in zona 23- 25, del diametro di 4,1 mm e della lunghezza di 10 mm. Il primo, in zona 23, era un impianto cilindro-cavo con una angolazione di 15 gradi (non esistevano allora i monconi angolati), mentre il secondo era una vite cava standard. A distanza di due settimane, furono inseriti, sempre seguendo lo stesso protocollo chirurgico, gli altri due impianti Straumann del tipo vite cava del diametro di 4,1 mm e della lunghezza di 10 mm., nella zona 45-46.

La protesi sugli impianti, fu applicata a distanza di sei mesi, poiché, allora, la scuola consigliava l’applicazione di elementi protesi su impianti a distanza di tre mesi per quelli inferiori e sei mesi i superiori. Per il confezionamento degli elementi protesi, che avvenne nel novembre 1993, si optò per una serie di progettazioni tecniche. Per l’impianto in zona 23 fu realizzata, in laboratorio una mesostruttura avvitata all’impianto, mentre sul quello in zona 25 fu inserito un moncone di 6 gradi, rifinito nella cavità orale. Inferiormente si preferì eseguire una protesi con fissaggio transocclusale. Per le impronte di precisione, prese con materiali siliconici, furono utilizzati i componenti protesici allora a disposizione.

La protesi fu portata a termine nel dicembre 1993, con piena soddisfazione della paziente che tornò ai successivi controlli periodici, dapprima mensili e successivamente trimestrali per i due anni successivi all’inserimento degli impianti.

Da questa data, la paziente è ritornata nel mio studio, nel dicembre 2000, per farsi sostituire degli elementi protesi su denti naturali. La visione della orto panoramica evidenziò delle alterazioni a carico degli elementi dentali 13-14-16-43-44, tali da consigliarne l’estrazione.

Il piano di trattamento proposto all’epoca, fu quello di estrarre i denti non recuperabili e sostituire gli stessi con impianti a distanza di tre mesi. Per tale motivo nell’aprile del 2001, furono applicati 2 impianti all’arcata inferiore in zona 43-44 del tipo vite piena con un diametro standard, nell’arcata superiore furono inseriti due impianti standard in zona 13-14, mentre in corrispondenza della 16 fu applicato un impianto wide neck (WN) con concomitante grande rialzo del seno mascellare di destra.

Le successive protesi in oro ceramica e porcellana furono confezionate a distanza di quattro mesi. Fu consigliato alla paziente di sostituire anche le precedenti protesi fatte otto anni prima. A questo punto il problema era come integrare i precedenti impianti, che non presentavano alcun problema di sostegno con quelli attuali. Il nuovo ponte 23-24-25 fu preparato utilizzando i monconi su impianti preparati all’epoca per la parte inferiore si pensò di rimuovere le vecchie corone 45-46 con fissaggio transocclusale, applicare su questi impianti, una mesostruttura, mentre su quelli in zona 43-44 furono avvitati due monconi solidi dell’altezza di 4 mm. . Le impronte furono rilevate con materiale in silicone previa preparazione in laboratorio di transfert in resina epossidica per gli impianti 23-25-45-46, come già era stato fatto per la protesi 23-25, mentre per i restanti impianti furono utilizzati i transfert standard e confezionata successivamente una protesi unica in metallo ceramica da 43 a 46. La parte superiore di destra non presentò alcun problema tecnico fu semplicemente inserito un moncone solido angolato a 15 gradi sull’impianto WN e due monconi solidi alti 5.5 mm sugli impianti in corrispondenza del 13 e 14, successiva impronta in silicone e confezionamento di una protesi metallo ceramica 13 16. La riabilitazione protesi completa, con corone in metallo ceramica, previo montaggio in articolare, venne integralmente portata a termine nel novembre 2001, integrando gli impianti Straumann di vecchia generazione con quelli di nuova concezione, evidenziando come questa metodica implantare possa essere utilizzata con estrema facilità per la riabilitazione protesica, grazie al tipo di concezione continuativa fatta dalla casa.

La paziente ritornò ai controlli preposti per circa tre anni, poi nonostante i nostri solleciti a tornata solo recentemente e a parte la semplice gengivite per la quale sono state utilizzate le indicazioni terapeutiche del caso, gli impianti erano in perfetta salute (foto 7-8-9). La visione di questo caso mi fatto ritornare indietro nel tempo, quando nel 1988, ho iniziato ad interessarmi di implantologia; quando gli implantologi venivano annoverati come i dentisti della “terza dentizione”.

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