Attenzione: mai abbreviare 2020 in “20” nei documenti legali e non.

Nella compilazione di un documento al momento di inserire la data spesso utilizziamo le abbreviazioni per quanto riguarda l’anno. Un esempio? Il 2018 diventa “18” e così via anche per gli altri. Al 2020 toccherebbe la stessa sorte ma gli esperti suggeriscono di stare in guardia per stare lontani da possibili raggiri. Il problema deriva dalla facilità con cui l’abbreviazione del corrente anno in “20” può essere modificata in qualsiasi altra data. Ad esempio la data 10/04/20 può essere sostituita con 10/04/2017 oppure con 10/04/2016 dando la possibilità ad eventuali truffatori di cambiare sia la valenza temporale che quella giuridica.

La questione ha sollevato un polverone poiché in realtà anche altre date nel corso del tempo si sono prestate a simili problematiche. Una corretta informazione però ci fa aprire gli occhi su questi possibili casi: i sospetti sulla falsità o veridicità di un documento aumenterebbero se lo stesso fosse datato 1998 anziché 2019 o 2021. Inoltre ricordiamo che a livello legale, nonché tributario e prescrittivo, è più facile avere problemi con un atto recante una data attuale o futura rispetto ad uno più datato. Alcuni diritti potrebbe essere ancora validi e determinate scadenze non rispettate. Dunque il suggerimento pratico è quello di scrivere l’anno 2020 per intero al fine di rendere la data non modificabile e di non accettare documenti con solo “20”.

Direttore responsabile
Buzzoni Umberto

Johnson&Johnson: l’azienda ritira il lotto di talco #22318RB per tracce di amianto.

I test della Fda (Food and Drug Administration) hanno rilevato delle impurità nel talco prodotto dall’azienda Johnson&Johnson: si tratta di tracce di amianto, sostanza  cancerogena. L’azienda J&J ha comunicato l’immediato ritiro del lotto  #22318RB comprensivo di 33.000 confezioni acquistate online da un rivenditore non identificato. L’azienda per fronteggiare questa situazione ha inoltre avviato un’ indagine interna.

Le tracce di amianto ritrovate nel talco sono di tipo  “crisotilo”: si tratta di un silicato di magnesio fibroso appartenente al gruppo degli amianti “serpentini”. E’ formato da un agglomerato di migliaia di fibre che, sottoposte a sollecitazioni, possono scomporsi e disperdersi. L’amianto bianco è molto utilizzato nei prodotti industriali per la sue doti di resistenza al calore, ed altri agenti, e versatilità. Il dibattito sulla cancerogenità della sostanza dura da anni anche se l’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) si è espressa chiaramente sostenendo che tutti i tipi di amianto sono cancerogeni, incluso il “crisotilo”.

Direttore responsabile
Buzzoni Umberto

Il Principe nel castello chiede la violinista in sposa

AVEZZANO. Come nelle favole, un momento romantico dal sapore cavalleresco ha sorpreso tutti la sera di sabato 27 aprile, al castello Orsini di Avezzano (AQ), al termine del concerto del gruppo “Chimera Ensemble”, l’evento conclusivo delle celebrazioni annuali alla Patrona di Avezzano, Maria Ss. di Pietraquaria. Preceduto  da un gonfalone con lo stemma di famiglia, retto dal cugino, ing. Maurizio De Rugeriis, il presidente del Comitato festeggiamenti, arch. Raffaello Di Domenico, è salito sul palco e parlando al microfono si è rivolto alla fidanzata, l’insegnante Tamara Manganaro, violinista delle Chimera Ensemble. Dopo un breve riepilogo sulla storia d’amore che coinvolge entrambi, il presidente Di Domenico ha recitato la seguente formula: “Amore, Principe lo sono per Diritto, perché la nonna di mio padre era figlia di un Re. Da quando sei entrata nella mia vita ho capito subito che eri quella giusta ma ho preferito attendere cinque lunghi anni, ora ritengo che non ci sia più nulla da aspettare. Quando ero bambino promisi a me stesso che il Principe si sarebbe rivelato al momento dell’anello, lo avrebbe fatto in pubblico, in presenza dello stemma e solo davanti a quella giusta. Ho mantenuto la promessa! Perciò…” quindi si è inginocchiato ed ha presentato l’anello alla fidanzata, chiedendola in sposa. Ricevuto il si, tra le lacrime della futura consorte confusa dalla gioia, le ha infilato l’anello al dito. Quindi, da musicista esperto, ha imbracciato la propria chitarra, dedicando alla promessa  sposa il brano “You raise me up” di Josh Groban, accompagnato dalle insegnanti Valentina Di Marco al pianoforte e Beatrice Ciofani al violino, con cui segretamente aveva preparato il pezzo. Al termine gli auguri dei presenti, festanti per i futuri sposi. La notizia, per il coraggio, la disinvoltura ed il gesto da nobile d’altri tempi del futuro sposo, ha avuto una eco straordinaria ed è finita sulle pagine dei quotidiani nazionali. La Redazione de Il Consumatore esprime i più sinceri e affettuosi Auguri a Raffaello e Tamara per il loro prossimo matrimonio.

Chi ha il compito di pagare il mantenimento degli anziani?

L’assistenza alle persone della terza età è un tema molto delicato specie al giorno d’oggi poiché gli individui, impegnati con il lavoro e la vita quotidiana, non hanno tempo da destinare agli anziani. La realtà vede quindi anziani spesso lasciati soli in balia di se stessi ma, le spese riguardanti i medicinali, gli alimenti, i vestiti, il cibo su chi ricadono? La legge prevede che i familiari hanno l’obbligo di accudire gli anziani dividendo le spese in base alle proprie condizioni economiche mentre lo Stato si impegna a versare l’assegno sociale e l’accompagnamento dove previsto.

Esiste però qualche giudice che la pensa diversamente come nel caso di una sentenza emessa dal tribunale di Genova secondo cui negli “alimenti” rientra anche l’attività di assistenza e supporto al genitore in stato di bisogno, in termini di presenza, compagnia ed affetto. I giudici di Milano però hanno chiarito sostenendo che “il supporto si deve sempre tradurre in una prestazione concreta non potendo coincidere con una semplice presenza”. Quindi abbiamo una distinzione tra il “mantenimento” che riguarda tutto ciò che serve per avere una vita autonoma e gli “alimenti” finalizzati invece a garantire lo stretto necessario per non morire di fame o di malattia. La misura degli alimenti dipende quindi dalle condizioni economiche dell’anziano e da quelle di chi lo deve assistere, in sostanza ciascuno deve contribuire in base alle proprie possibilità. Chi deve somministrare gli alimenti può scegliere se farlo mediante assegno periodico o accogliendo e mantenendo nella propria casa la persona che vi ha diritto. Cosa può fare l’anziano se i figli non lo mantengono? Può agire contro di loro in tribunale affinché sia il giudice a imporgli il versamento degli alimenti. E se non pagano può anche scattare il pignoramento dei beni.

Umberto Buzzoni
Direttore Responsabile

Il gioco del “Pull a Pig”: una minaccia per l’autostima delle donne.

Il fenomeno del “Pull a Pig” è un gioco crudele che mira a distruggere l’autostima delle donne. Numerose sono le vittime di questa trappola che viene organizzata da un gruppo di amici maschi: l’obbiettivo è “rimorchiare” la ragazza più brutta della festa. Dopo aver adescato la “preda” le si fa credere di provare un reale interesse che si traduce in un corteggiamento dolce e serrato. La vittima si sente a suo agio al punto tale da aprirsi completamente fino ad andare oltre. Dopo aver raggiunto l’obbiettivo (finire a letto con la malcapitata) partono le umiliazioni a carattere verbale che distruggono l’autostima della ragazza.

Un esempio è la vicenda di Sophie una giovane che ha percorso più di 600 km per raggiungere il ragazzo che, partecipando al gioco del “Pull a Pig” l’aveva adescata in un locale durante una vacanza. Qualche tempo dopo Sophie ha deciso di raggiungere il ragazzo per incontrarlo nuovamente ma, una volta arrivata in città ha ricevuto una brutta sorpresa. Lui le parlato del “Pull a Pig” dicendole che era “stato con lei” solo perché era la più brutta del locale. La povera ragazza a quel punto, disgustata da quanto accaduto, è tornata a casa, distrutta e sconvolta. Ha deciso però di raccontare la sua esperienza per mettere in guardia altre donne che, come lei, potevano diventare vittime di un gioco così crudele. “Pull A Pig è una vera e propria trappola” – racconta Sophie – “un gioco perverso e malato in cui un ragazzo cerca di abbordare una ragazza grassa e brutta. La verità mi ha turbato, mi ha destabilizzato e ferito profondamente. Donne state in guardia.”

Umberto Buzzoni
Direttore Responsabile

“Te la faccio pagare”: è labile il confine tra “reato” e “realtà dei fatti”

La frase “te la faccio pagare” che spesso pronunciamo rivolgendoci a qualcuno è sinonimo di una velata intimidazione pertanto bisogna prestare attenzione al contesto ed alle modalità d’uso. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che l’espressione è un vero e proprio reato di minaccia ma, per stabilire quali rischi si corrono, bisogna contestualizzare il fatto. Se il riferimento si lega alla volontà di ricorrere al giudice non scatta l’ipotesi di reato poiché la frase incriminata implica l’esercizio di un diritto.

Ad esempio un dipendente che, di fronte alla negazione delle ferie da parte del datore di lavoro, gli dice “te la faccio pagare, avrai a che fare con i miei avvocati” non sta commettendo un’intimidazione, ma sta avvalendosi di un suo preciso diritto. Affinché scatti il reato è necessario che ci sia una concreta minaccia della persona offesa, ad esempio, quando qualcuno, nel dire “te la faccio pagare” ha un bastone in mano oppure fa chiaramente intendere il ricorso ad azioni violente. A volte basta anche un dito puntato contro per far intuire che le proprie intenzioni non siano del tutto lecite. Nel reato di minaccia quindi bisogna considerare l’elemento essenziale rappresentato dalla limitazione della libertà psichica: la creazione di un potenziale pericolo per il destinatario della frase fa infatti scattare l’ipotesi di reato.

Umberto Buzzoni
Direttore Responsabile

 

Curiosità: genitori, figli e paghetta mensile.

Può la paghetta mensile diventare il pomo della discordia tra genitori e figli? Ebbene si, in tempi di crisi anche la paghetta diventa materia di processo in tribunale. E’ successo in Italia dove padre e figlio si ritrovarono davanti alla Corte per discutere dei 450 euro reclamati dal giovane, studente e per di più disoccupato. I giudici hanno deciso di dar ragione al ragazzo ed il padre dovrà sborsare la cifra richiestagli. I fatti si sono svolti così: il giovane ha deciso di rivolgersi al Tribunale dinanzi al rifiuto del padre di aiutarlo versandogli la paghetta mensile viste le sue condizioni: il giovane infatti, studente all’università e disoccupato, non è in grado di essere autosufficiente.

Inizialmente il Tribunale aveva appoggiato la posizione del padre poiché, secondo il giudice, il ventottenne, era colpevole di non aver ancora conseguito la laurea, nonostante l’età, e quindi anche di non aver raggiunto l’indipendenza economica. Successivamente però, la giustizia si schierò nuovamente dalla parte del giovane, condannando il padre al mantenimento. La causa di tale decisione è stata rintracciata nella mancata dimostrazione della effettiva colpevole inerzia del ragazzo nell’ottenimento dell’indipendenza economica.

Il genitore, tuttavia, non si rassegno’ all’obbligo di versare l’assegno mensile al figlio scapestrato, e così fece ricorso in Cassazione, avvalendosi della prova che il giovane aveva impiegato sei anni, anziché tre, per laurearsi e, oltre questo, aveva anche rifiutato diverse possibilità di lavoro. Ma l’epilogo della vicenda si è sciolto in favore del ventottenne. Infatti la Cassazione ha respinto il ricorso del genitore affermando che il mero raggiungimento del titolo di studio non dimostra il raggiungimento dell’indipendenza economica. Oltre al danno anche la beffa: il padre ha dovuto continuare non solo a mantenere il figlio ma anche pagare le spese per i legali!

Umberto Buzzoni
Direttore Responsabile