Cosa sono i “lavori in economia”?

Nella maggior parte dei casi, quando si decide di realizzare dei lavori edili nella propria casa o condominio ci si rivolge a ditte specializzate. In alcune situazioni, è del tutto possibile che i proprietari, per vari motivi come il risparmio di denaro, decidano di fare da soli, contando sulle proprie competenze. In questo caso parliamo di manodopera “economia”, che viene utilizzata in edilizia appositamente per lavori piccoli e poco impegnativi che i proprietari svolgono essenzialmente in modalità fai da te. In particolare, è possibile giungere ad una definizione quanto più “normativa” possibile. L’articolo 31 del D.Lgs. 69/2013, modificato dalla Legge n. 98/2013: questa norma parla infatti di lavoro autonomo, riferendosi ai lavori privati ​​di manutenzione svolti “senza impresa”, direttamente dal proprietario dell’azienda agricola. Tale norma indica inoltre che per tali opere non vige l’obbligo di richiedere il documento DURC agli enti o agli organi abilitati al rilascio.

Usando termini presi in prestito dal linguaggio edilizio, si potrebbe dire che in relazione ai lavori eseguiti economicamente, il cliente e l’impresa coincidono. Purtroppo non esiste una norma dedicata specificatamente ai lavori in economia svolti direttamente dai privati ​​e che ha di fatto creato un vuoto normativo, considerata anche l’ampia autonomia riconosciuta agli enti locali in materia, che richiede sempre il monitoraggio della legislazione locale per individuare possibili restrizioni. Ecco perché le regole devono essere sempre rispettate, perché molti comuni potrebbero anche vietare autonomamente il lavoro economico o consentirlo solo a determinate condizioni, di solito in relazione a opere modeste, che, secondo la testimonianza dell’esecutore, ci sono mezzi, gli strumenti, le capacità e competenze tecniche necessarie per lo svolgimento degli stessi o che non richiedano la dipendenza da imprese esterne e/o lavoratori autonomi e che non incidano sulla sicurezza del lavoro.

Poiché non esiste una legge ad hoc, si devono continuare a seguire altre norme eventualmente applicabili . Consideriamo, ad esempio, cosa prevede il regolamento. 81/2008 . Quindi il  punto che solleva molti dubbi è quello che si può fare in economia. Infatti questa categoria, che ricordiamo comprende lavori che il committente privato può eseguire personalmente senza imprese edili, non è ben definita, né è possibile presentare un elenco dettagliato delle mansioni lavorative che rientrano in questa fattispecie. In questa categoria vengono generalmente considerati tutti quei lavori di modesta entità che comportano piccole modifiche e migliorie all’ immobile senza rischi per la sicurezza strutturale. Inoltre, visto il riferimento alle opere di “manutenzione” contenuto nell’art. 31 del D.L. n. 69/2013 è facile escludere la demolizione e costruzione di nuovi edifici .

Sicuramente si possono effettuare gli “interventi di manutenzione ordinaria” annoverati nel Testo Unico Edilizia (DPR 380/2011) come interventi edilizi riguardanti la riparazione, la ristrutturazione e la sostituzione delle finiture o volti a integrare i sistemi tecnici esistenti o mantenerne l’efficienza. Si tratta di lavori che non comportano variazioni della volumetria degli edifici e non pregiudicano la sicurezza delle strutture, ad esempio, tinteggiatura di pareti o soffitti interni ed esterni, sostituzione dei rivestimenti interni, delle porte interne e degli arredi esterni, sostituzione dei sanitari etc, etc. Rientrano inoltre in questa categoria gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli architettonici, ma che non comportano la costruzione di ascensori esterni o altri oggetti idonei a modificare la forma dell’edificio. Allo stesso tempo non è possibile eseguire interventi di manutenzione aggiuntivi o importanti, come ad esempio quelli sulle parti strutturali (travi, solai, colonne, soffitti, fondazioni, muri portanti, ecc.).

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Bonus Cicogna 2024. Di cosa si tratta?

Possono presentare domanda per il bonus cicogna 2024 le famiglie con figli nati o adottati tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2024. Per ricevere il premio, il reddito annuo della famiglia non deve superare i 40.000 euro. Inoltre, i destinatari devono essere cittadini italiani, comunitari o extracomunitari titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o carta di soggiorno. Il bonus Cicogna è un beneficio economico dell’importo di 500 euro/ 800 euro corrisposti dall’INPS alle famiglie che dal 1 al 31 gennaio hanno figli nati o adottati fino a dicembre 2024.

Per poter beneficiare del Bonus devono essere soddisfatti i seguenti criteri: Data di nascita o data di Adozione del Minore: il richiedente deve essere nato o adottato tra il 1 gennaio 2024 e il 31 dicembre 2024; Il richiedente deve essere un dipendente Gruppo Poste Italiane SpA o ex dipendente o pensionato IPOST; Reddito familiare: il reddito familiare complessivo non può superare i 40.000 euro annui.

Per poter accedere al bonus cicogna  è necessario richiedere la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) per la determinazione dell’ISEE 2023: deve essere presentata prima della presentazione della domanda del bonus. L’attestazione ISEE è valida fino al 31.12.2023: Non può superare il limite di 40.000 euro annui. E necessario poi disporre del Codice PIN INPS, SPID, Carta nazionale dei servizi o identità digitale INPS necessari per accedere al servizio online del portale INPS. Bisogna poi possedere un codice IBAN di un conto bancario o postale italiano o di una carta prepagata autorizzata a ricevere bonifici dalla Pubblica Amministrazione. L’INPS non ha ancora annunciato il periodo valido per presentare la domanda  per il Bonus Cicogna 2024, ma si prevede che sarà lo stesso del 2023, ovvero 1 agosto – 31 ottobre 2024.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Arriva la legge sul doggie bag.

L’iniziativa è stata accolta favorevolmente da molti ambientalisti e sostenitori della lotta allo spreco alimentare, ma ha suscitato non poche polemiche nella categoria dei ristoranti; E’ chiaro che il ristoratore è preoccupato per i costi aggiuntivi di materiale e organizzazione necessari per adempiere a un possibile impegno e per le sanzioni derivanti dalla negligenza. La doggy bag, letteralmente “borsa per cani”, è una borsa che viene lasciata  dopo un pasto al ristorante. Uno strumento semplice ed efficace per combattere l’annoso problema dello spreco alimentare, che affligge tutte le società, soprattutto quelle più ricche, che sprecano molto cibo. Ad esempio, pranzi in famiglia, cene, eventi, cerimonie ci costringono a buttare più piatti del solito, quindi una grande quantità di cibo perfettamente “commestibile” va direttamente dalla cucina alla spazzatura. Si calcola che, ad esempio, durante le vacanze di Natale si buttino circa 500mila tonnellate di cibo e si sprecano 80 euro a famiglia.

Naturalmente, lo spreco alimentare è un problema che dura tutto l’anno. Secondo uno studio del Ministero delle Politiche Agricole, degli 840 chilogrammi prodotti ogni anno vengono consumati pro capite 560; 1/3 viene gettato nella spazzatura, così come il denaro, la manodopera e le risorse (acqua, energia e materie prime) utilizzate nel processo di produzione, trasporto e distribuzione.  Il doggy bag è uno strumento per combattere questa inefficienza, e la proposta di legge offre un vantaggio rispetto al passato. In molti paesi del mondo, infatti, soprattutto nelle Americhe e in Asia, la doggie bag è sempre stata vista come simbolo di un impegno etico nella lotta allo spreco alimentare. In Italia, però, non è cosi’.

Quindi non basta solo che i ristoranti lo abbiano ed espongano nei propri locali, ma per incentivarne l’utilizzo il disegno di legge prevede l’utilizzo di appositi cartelloni esplicativi. La prevenzione per realizzare il necessario cambiamento nella mentalità del consumatore.
In Francia, come simbolo di raffinatezza e avanguardia nel settore alimentare, la borsa per cani è diventata obbligatoria per i ristoranti già nel 2021, e qualche anno prima la campagna pubblicitaria del Ministero dell’Agricoltura era  proprio sulle doggie bag.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Si possono togliere i graffi sulle lenti degli occhiali?

Se le lenti dei vostri occhiali sono danneggiate, ecco alcuni consigli per rimuovere i graffi. Pulite innanzitutto le lenti con un panno in microfibra e un prodotto apposito oppure acqua e sapone. Per una corretta pulizia è necessario effettuare piccoli movimenti circolari, distribuire il prodotto o il sapone su tutta la zona delle lenti, evitando il contatto con la montatura. Una volta eseguita questa procedura, i graffi saranno più facili da vedere e trattare. Alcuni articoli domestici possono essere abrasivi e causare più danni. In ogni caso il prodotto va applicato solo sulle lenti e mai sulla montatura. Uno dei primi prodotti che possiamo utilizzare per ridurre i graffi sulle lenti in vetro è il bicarbonato di sodio. È un prodotto ecologico e rimuove abbastanza sporco da lasciare la lente lucida. Per applicarlo sul vetro bisogna creare una crema con acqua e bicarbonato, va applicata con movimenti circolari. Successivamente risciacquare abbondantemente e lucidare con un panno morbido in microfibra. Il dentifricio funziona alla grande ed è ottimo per piccoli graffi e macchie sulle lenti. Va posizionato su entrambi i lati delle lenti, stendendolo bene con movimenti leggeri. Va rimosso con abbondante acqua fredda e poi le lenti devono essere asciugate accuratamente. Il lievito ha lo stesso effetto del bicarbonato ed è un altro prodotto che potremmo facilmente trovare in casa. Anche con il lievito è possibile creare una sorta di pasta perfetta per applicare le lenti per eliminare i graffi dagli occhiali. Dopo aver applicato la miscela, risciacquare con acqua e lucidare con un panno. Pochi lo direbbero, ma la cenere di sigaretta sembra essere ottima per pulire le lenti in vetro. Va sempre strofinato con un panno umido, senza mai dimenticare fibre come la lana o panni come la carta assorbente. Attenzione però. Le lenti trattate con agenti antiriflesso o antimacchia possono danneggiarsi durante l’utilizzo di prodotti fai da te .

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Entro il 31/01/2024 si può fare domanda di esenzione del canone Rai.

Il canone Rai viene fatturato dalle bollette delle società elettriche in dieci rate mensili, nel periodo gennaio-ottobre di ogni anno. Il canone mensile è di 7 euro ( 70 euro in totale). Il 31 gennaio 2024 è il giorno ultimo per comunicare di non possedere un televisore . Se invece nessun familiare iscritto pagante ha un contratto di energia elettrica domestica, il canone dovrà essere versato tramite modello F24 proprio entro il 31 gennaio di ogni anno.

Anche chi abita nelle Isole di Ustica, Tremiti, Levanzo, Favignana, Lipari, Lampedusa, Linosa. , Marettimo, Ponza, Giglio, Pantelleria, Stromboli, Panarea, Vulcano, Salina, Alicudi, Filucudi, Capraia, Ventotene, paga il cnoane rai tramite f24. Si tratta infatti di località con reti reti non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale. Chi non deve pagare il canone Rai? I soggetti con redditi complessivi propri e del coniuge che non superano gli 8.000 euro che hanno più di i 75 anni; I diplomatici e militari stranieri; Coloro che non possiedono un televisore.

La domanda di esenzione può essere inoltrata con diverse modalità: tramite raccomandata o tramite posta elettronica certificata all’indirizzo cp22.canonetv@postacertificata.rai.it oppure direttamente all’ufficio delle entrate secondo le istruzioni fornite. Per chi richiede l’esenzione perché non dispone di televisore, la procedura può essere completata anche online. Se richiedi l’esenzione entro il 31 gennaio avrai diritto ad un anno intero di mancato pagamento. Tuttavia, se lo invii tra il 1 febbraio e il 30 giugno, si può ottenere l’esenzione essere dalla tassa del secondo semestre. Chi ha già pagato, ma poi scopre che sarà esentato, può richiedere il rimborso utilizzando un apposito modulo sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Le ferie non godute vanno pagate anche ai dipendenti pubblici.

Un dipendente che non ha potuto usufruire di tutte le ferie annuali retribuite prima della fine del contratto di lavoro ha diritto a una compensazione finanziaria. Lo ha dichiarato la Corte Ue precisando che gli Stati membri non possono avvalersi di ragioni legate al contenimento della spesa pubblica per limitare tale diritto. La sentenza affronta il caso di un dipendente del Comune di Copertino (Lecce), Puglia, che si è dimesso volontariamente per pensionamento anticipato e ha chiesto il riconoscimento del suo diritto a ricevere un’indennità in luogo delle ferie annuali non godute per complessivi 79 giorni. non presi durante il lavoro. Il comune ha invece sostenuto che il dipendente pubblico era consapevole del suo obbligo di prendere i restanti giorni di ferie prima di lasciare il lavoro e di non poterli incassare. La legge italiana, infatti, prevede che in nessun caso i lavoratori del settore pubblico abbiano diritto all’indennità per le ferie annuali non godute.

L’interpretazione della disposizione italiana nella giurisprudenza nazionale ammette il guadagno in sostituzione delle ferie solo se le ferie non sono state effettivamente godute per motivi indipendenti dalla volontà del dipendente, come ad esempio la malattia. I giudici lussemburghesi hanno confermato nella loro decisione che la legislazione dell’Unione costituisce un ostacolo alla legislazione nazionale che vieta di pagare al dipendente un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non utilizzate se il dipendente termina volontariamente il suo rapporto di lavoro. In relazione agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano per l’adozione della normativa nazionale in materia, la Corte europea ha inoltre ricordato che il diritto dei lavoratori a beneficiare delle ferie annuali retribuite, compresa la loro eventuale sostituzione con un compenso economico, non può dipendere da ragioni meramente economiche, come la limitazione della spesa pubblica.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

I Bot rimangono nel conteggio dell’Isee per il 2024.

I titoli di Stato e i prodotti finanziari garantiti dallo Stato rimarranno inizialmente nel calcolo dell’ ISEE. Lo spiega in una nota l’Inps, precisando che nonostante la legge di bilancio escluda dal calcolo dell’Isee i titoli di Stato e i prodotti di risparmio con valore fino a 50.000 euro con rimborso garantito da garanzia statale, non è stata ancora apportata alcuna modifica affinché il regolamento entri in vigore. Nel frattempo, tutte le dichiarazioni ISEE sostitutive presentate a partire da gennaio 2024 dovranno comunque includere, tra le altre cose, anche i titoli di Stato e i prodotti finanziari garantiti dallo Stato.

Per escludere gli investimenti che sostengono il finanziamento pubblico dell’Isee, spiega l’Inps, è necessario innanzitutto modificare il Regolamento della presidenza del Consiglio dei Ministri 159 del 2013, che ha modificato i criteri del corrispondente indicatore della situazione economica stabiliti 15 anni prima. L’Indicatore della Situazione Economica è uno strumento che misura la situazione economica delle famiglie italiane. L’ISEE si ottiene come somma della condizione reddituale e del 20% della situazione economica del nucleo familiare, che viene poi applicata ad una scala di qualificazione basata sulle caratteristiche (numero e tipologia) del nucleo familiare. La componente attiva comprende naturalmente i beni immobili e mobili, come i conti correnti (che sono espressi dal cosiddetto saldo medio o saldo del secondo anno precedente), nonché obbligazioni e titoli di Stato, azioni ordinarie, investimenti società di risparmio.

Il valore ISEE è necessario per esempio per  l’assegno unico che viene erogato in base al numero di figli che compongono il nucleo familiare. L’isee dovrà essere rinnovato entro il 29 febbraio 2024 altrimenti verrà erogato l’importo minimo. Il valore ISEE è necessario anche per usufruire di altri benefici, come il bonus asilo nido e l’assegno di inclusione.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano