Debiti verso il fisco e ipoteca sulla prima casa.

L’Agenzia delle Entrate può iscrivere ipoteca sull’immobile di proprietà del contribuente per i debiti superiori a 20mila euro, anche se si tratta di una prima casa. Ma cosa è l’ipoteca? Si tratta di un diritto reale di garanzia. Nel caso in cui il contribuente abbia un debito nei confronti del fisco, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può utilizzare l’ipoteca e il fermo amministrativo come misure precauzionali. Tuttavia, esistono condizioni e limitazioni. Prima di tutto, viene valutato il volume del debito. Solo per debiti superiori a 20mila euro si può iscrivere ipoteca e per un importo pari al doppio dell’importo che si sta chiedendo al contribuente. Ad esempio, se il debito è di 30mila euro, l’ipoteca sarà iscritta per 60mila euro. L’agenzia deve notificare al contribuente un preavviso di ipoteca per consentire l’iscrizione dell’ipoteca. Questo preavviso invita il contribuente a pagare il debito entro 30 giorni e lo avverte che, se non paga, l’ipoteca sarà iscritta su uno o più immobili identificati in precedenza. In realtà, a differenza di ciò che si pensa comunemente, il Fisco può iscrivere ipoteca sulla prima casa anche se non soddisfano i requisiti per l’espropriazione forzata. Ricordiamo che l’ipoteca si può iscrivere per debiti superiori a 20mila euro e l’espropriazione forzata per debiti superiori a 120mila euro. Il pignoramento immobiliare e l’esecuzione forzata non può essere effettuato se l’immobile rappresenta l’unica proprietà immobiliare del debitore, è destinato all’uso domestico e il debitore vi risiede ufficialmente, non è un immobile di lusso. Anche quando si può procedere al pignoramento si devono rispettare tre condizioni.  Il debito totale deve essere superiore a 120mila euro; gli immobili del debitore hanno un valore superiore a 120mila euro; sono passati sei mesi da quando è stata iscritta l’ipoteca e il debitore non ha ancora pagato.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Sgominata la “banda della monetina” nel cremonese.

Un gruppo di quattro sudamericani è stato arrestato dalla Polizia di Stato di Cremona per aver usato la “tecnica della monetina” per compiere 35 furti aggravati in varie aree del nord Italia. L’indagine, guidata dalla Procura di Cremona, è iniziata con una querela presentata da un’anziana donna alla polizia nella quale denunciava per un furto subito nel piazzale di un supermercato della città. La donna ha affermato di essere stata derubata utilizzando il trucco della monetina e che numerosi prelievi erano stati effettuati con la sua carta di credito. Attraverso indagini e pedinamenti, un gruppo di sudamericani con precedenti riferiti allo stesso tipo di reato, è stato identificato dagli agenti della Sezione Antirapina. Alcuni di loro erano stati arrestati in passato aver rubato e reagito con forza all’arrivo delle forze dell’ordine che li avevano colti in fragranza di reato.  Gli investigatori in borghese con una macchina civile e una moto hanno notato una auto all’interno del parcheggio dell’Ospedale di Cremona che aveva a bordo tre uomini a bordo.

I militari li hanno seguiti e hanno osservato l’auto avvicinarsi a diversi parcheggi di vari supermercati. In un caso a Manerbio (Brescia), hanno scelto di prendere di mira una donna che stava caricando la spesa e l’hanno derubata. I poliziotti li hanno arrestati dopo un violento inseguimento in cui hanno anche subito uno speronamento. Il conflitto ha portato a lesioni guaribili in cinque e venti giorni per entrambi gli agenti. Uno dei malviventi era finito in carcere dopo un’ordinanza di custodia cautelare. L’indagine, guidata dalla Procura di Cremona, ha esaminato le foto dei sistemi di videosorveglianza e le celle telefoniche degli indagati. In quattro sono finiti agli arresti denunciati alle forze dell’ordine per un totale di 35 furti di cui dieci commessi nel  Cremonese sempre attraverso la tecnica della monetina. Le monetine vengono gettate a terra e si invita la povera persona a raccoglierle per poter rubare le borse lasciate in auto o ancora appese al carrello.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Sono sempre di più le truffe nell’ambito della ricerca di lavoro.

Il numero di persone che cercano lavoro aumenta significativamente nei mesi di gennaio e febbraio. In questo periodo proliferano le truffe legate alla ricerca di lavoro che sono particolarmente pericolose perché cavalcano l’onda del desiderio di guadagni facili e redditizi, che spesso richiedono qualifiche o esperienze minime e aggirano processi di assunzione convenzionali come colloqui. Ci sono annunci per esempio che offrono un salario accettabile per un lavoro piuttosto facile (prendiamo ad esempio lavori di raccolta e inserimento dati o di call center). Non viene richiesta alcuna esperienza precedente e la procedura di assunzione  risulta eccezionalmente rapida, senza colloqui. L’assunzione dunque  avviene molto velocemente e senza alcun intoppo. Le aziende però scompaiono improvvisamente e con loro tutti i dati sensibili dei candidati. Il passo successivo è il furto di identità che viene utilizzato per compiere truffe e raggiri.

Bisogna sempre verificare che l’azienda che offre il lavoro sia legittima. Verificare che ci sia un sito web ufficiale, una sede fisica e ben conosciuta e magari recensioni autentiche dei dipendenti. Se possibile, bisogna contattare il personale che ci lavora per estrapolare informazioni. Insomma un vero e proprio lavoro investigativo che però purtroppo di questi tempi è divenuto fondamentale per evitare truffe. Sebbene le email di reclutamento false possano sembrare attraenti, bisogna riflettere un attimo prima di cliccare su di esse. Nell’incertezza meglio aspettare e indagare. Il phishing è un metodo comune per rubare dati personali. Se viene chiesto di fornire in maniera frettoloso i propri dati sensibili al 90% siamo difronte ad un raggiro vero e proprio.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Attenti alla truffa che ha coinvolto i clienti di Poste Italiane.

Il mittente dell’ sms sembrerebbe proprio Poste Italiane. Il testo lo si trova tra i messaggi e conferma un appuntamento preso magari mesi prima. Tuttavia, questo messaggio è un falso. Forse la più assurda truffa che ha colpito gli utenti negli ultimi anni. Ha infatti svuotato migliaia di euro dai conti correnti postali. Il link porta a una pagina che assomiglia a quella di Poste. Vengono chiesti i dati di accesso e il numero di cellulare per bloccare un bonifico pericoloso che è stato fatto a danno del proprietario del conto. Ma non è vero. In altre parole, i truffatori chiedendo i dati per bloccare un presunto bonifico che non è mai avvenuto ne fanno uno a loro vantaggio e a danno di chi abbocca all’inganno. Chiameranno immediatamente per ottenere una password one-time che riceveranno tramite SMS. Con questa password, possono effettuare un bonifico. Questa telefonata sarà caratterizzata da forte allarmismo e sull’importanza di fornire la password immediatamente per bloccare il finto bonifico.

Non c’è una atteggiamento chiaro sui rimborsi. Ci sono dei casi in cui la banca concede il 50% o casi in cui non accetta di risarcire. I contenziosi legali tra utente e banca sono lunghi. Secondo la legge però, la banca può rifiutare il rimborso solo se si verificano due circostanze: dimostra di avere adottato le misure di sicurezza appropriate e se l’utente ha commesso dolo, frode o colpa grave. Nel caso del phishing purtroppo si verifica una colpa grave se l’utente è direttamente coinvolto nel fornire le password. In questi casi l’astuzia dei malviventi è quella di far interagire il malcapitato che si troverà a fornire un assit non da poco ai malfattori. E purtroppo in questi casi i giudici si stanno sempre più esprimendo a favore delle banche che negano il rimborso.

Come difendersi? Le poste sul loro sito ci dicono che:
“Ricorda che Poste Italiane S.p.A. e PostePay S.p.A. non chiedono mai in nessuna modalità (e-mail, sms, chat di social network, operatori di call center, ufficio postale e prevenzione frodi) e per nessuna finalità:
-le tue credenziali di accesso al sito www.poste.it e alle App di Poste Italiane (il nome utente e la password, il codice posteid);
-i dati delle tue carte (il PIN, il numero della carta con la data di scadenza e il CVV);
-i codici segreti per autorizzare le operazioni (codice posteid, il codice conto, le OTP- One Time Password ricevute per sms).”

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Quali sono le regole sui cani e i locali pubblici?

I proprietari di cani e altri animali da compagnia si chiedono spesso se possono entrare nei bar, nei negozi o nelle strutture pubbliche. Per rispondere, bisogna conoscere la legge.  A livello nazionale, il Regolamento di Polizia Veterinaria stabilisce che i cani che sono tenuti al guinzaglio o hanno la museruola possono essere portati nelle strade o in altri luoghi aperti al pubblico. Quando sono condotti nei locali pubblici o sui mezzi di trasporto pubblici, allo stesso modo devono indossare sia il guinzaglio che la museruola contemporaneamente. Il Ministero della Salute ha più di recente approvato il Manuale della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), che stabilisce che i cani possono essere lasciati entrare nei bar e nei ristoranti a condizione che siano muniti di museruola e guinzaglio. Curiosità.  il Diritto Canonico, che è la raccolta di regole stabilite dalla Chiesa per disciplinare le attività dei fedeli, non parla dell’ingresso dei cani nei luoghi sacri. Di conseguenza, la loro presenza durante le funzioni non è vietata né consentita. Non esistono regole ufficiali che vietano di portare i propri cani in chiesa. Le situazioni e le circostanze dovrebbero suggerire comportamenti appropriati.

Invece è vietato introdurre cani o altri animali domestici nei luoghi in cui vengono preparati, manipolati, trattati e conservati gli alimenti come stabilito anche dal Regolamento n. 852/2004/CE, con l’obiettivo di prevenire la contaminazione degli alimenti stessi. Il Ministero ha chiarito più volte in due note successive (n. 11359/2017 e n. 23712/2017) che locali appositi per l’accoglienza degli animali possono essere posizionati sia all’interno che all’esterno degli esercizi di vendita al dettaglio di alimenti. Spetta all’esercente il dovere di deve garantire che gli animali non entrano in contatto diretto o indiretto con gli alimenti sfusi o confezionati. Il gestore di una struttura aperta al pubblico ha comunque il diritto di decidere di non consentire l’accesso agli animali. Ciò è dovuto al suo diritto di stabilire le regole di accesso a una proprietà privata, anche se aperta al pubblico.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Il fenomeno delle estorsioni giovanili.

Il fenomeno sempre più ricorrente dei reati gravi tra gli adolescenti sta attirando l’attenzione delle istituzioni e della società civile. Nei tribunali per minorenni sono sempre più presenti  procedimenti per estorsioni ai danni di ragazzi o ragazze, e spesso si tratta di piccole somme che difficilmente superano la cinquantina di euro. La preoccupazione per la situazione è amplificata dalle azioni violente che spesso accompagnano le estorsioni e che vengono  documentate dai telefoni cellulari dei colpevoli. La storia si ripete seguendo più o meno sempre lo stesso schema. Il bullo di turno  costringe un ragazzo o ragazza della stessa età più vulnerabile e a volte più ricco a dare denaro o altri beni. Il rifiuto dell’aggredito provoca una violenza che porta a una situazione critica fatta di violenza verbale e fisica. Vengono coinvolti poi una serie di soggetti che spalleggiano colui che delinque aiutandolo nelle sue azioni. Durante il processo gli imputati cercano di sminuire il reato commesso e le loro responsabilità.

La criminalità minorile in Italia è in forte crescita, secondo un’indagine della Polizia di Stato dell’ottobre 2023. Il rapporto afferma che, oltre ai reati commessi dalle cosiddette baby gang, vi è anche un aumento significativo dei gruppi criminali di età giovanile che possono essere considerati nuove leve della criminalità organizzata. La Polizia di Stato ritiene che questa sia una situazione di emergenza che necessita un intervento che porti a una significativa riduzione dei casi di criminalità giovanile nel medio lungo termine. La descolarizzazione, la mancanza di punti di riferimento, la mancanza di comunicazione e la carenza dei buoni modelli familiari, spesso a causa dell’assenza dei genitori, sono sicuramente le principali cause della di questi fenomeni di delinquenza giovanile.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Cosa può fare e cosa non può fare l’amministratore sul conto dondominiale?

L’amministratore gestisce il conto corrente del condominio, ovviamente nell’interesse del condominio. Secondo la legge l’amministratore è tenuto ad aprire un conto intestato al condominio in maniera esclusiva cosi da poter ricevere denaro dai condomini o da terzi. La stessa legge afferma che ciascun condomino può chiedere, per il tramite dell’amministratore, di prendere visione ed estrarre una copia della rendicontazione periodica. Ciò conferma la tesi che l’amministratore ha accesso al conto in maniera riservata. Il condominio può solo accedere agli estratti conto tramite l’amministratore e soltanto nel caso in cui l’amministratore non fornisca o si rifiuti espressamente di fornire tale documentazione, il singolo condomino può rivolgersi direttamente alla banca per ottenerlo.

L’amministratore può utilizzare il conto corrente comune per pagare le spese condominiali senza ottenere l’approvazione dell’assemblea ogni volta. L’amministratore, che ha accesso diretto al conto corrente, ha piena autorizzazione dopo aver ricevuto il manda-to. Oltre a poter utilizzare i normali metodi bancari (bonifici, ecc.), l’amministratore può anche prelevare denaro in contanti per pagare beni e servizi condominiali. In effetti, la legge non impone al condominio di utilizzare sempre strumenti di pagamento tracciabili. Nei limiti di quanto concordato con l’assemblea al momento del conferimento dell’incarico, l’amministratore può perfino prelevare dal conto i soldi necessari a pagare il suo onorario. Quindi, l’amministratore non può prelevare soldi oltre a quelli che l’assemblea ha riconosciuto al momento del conferimento del mandato. Invece, se il mandato è formalmente cessato, l’amministratore non può operare sul conto condominiale neanche per prelevare il suo onorario.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano