Rottamazione quater: la quinta rata va pagata entro il 23 settembre

Nell ambito della rottamazione delle cartelle, la quinta rata della sanatoria, è stata posticipata. Le persone possono pagare entro il 23 settembre, come indicato dal portale istituzionale dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. Tuttavia, oltre alle novità già previste dalla riforma della riscossione, potrebbero esserci ulteriori novità relative alle cartelle esattoriali. La quinta edizione della rottamazione delle cartelle potrebbe essere confermata presto, e si prevede un autunno intenso in vista della Legge di Bilancio. La quinta rata della rottamazione doveva essere pagata il 31 luglio. Ricordiamo che il contribuente poteva richiedere la rottamazione quater entro la fine di giugno dell’anno precedente e consentiva fino a 18 rate con scadenze fisse all’anno. I contribuenti dovevano pagare quattro volte all’anno: alla fine di febbraio, alla fine di maggio, alla fine di luglio e alla fine di novembre. Il beneficio decade se anche una sola rata non viene pagata.  Per coloro che hanno saltato anche solo una delle rate precedenti il debito è tornato alla sua forma originale e le rate successive pagate sono ora considerate acconti. I termini per i decaduti dalla rottamazione quater potrebbero essere riaperti l’anno prossimo. In effetti, molti contribuenti che hanno partecipato alla sanatoria non sono riusciti a rispettare le scadenze iniziali. Nonostante la proroga, questa tendenza potrebbe persistere anche dopo la quinta rata. Molti contribuenti infatti hanno chiesto la definizione agevolata, ma non sono stati in grado di pagare o non hanno voluto farlo e lo stato ha ricevuto un gettito molto inferiore a quello previsto.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Cosa prevede la legge sulla questione “gatti” in condominio.

Purché il regolamento condominiale non lo vieti esplicitamente, la legge italiana non limita la presenza di gatti di famiglia all’interno degli appartamenti. Nonostante ciò, i gatti non dovrebbero essere lasciati soli nelle aree comuni dell’edificio né lasciati vagare senza controllo. Sebbene infatti la questione degli animali domestici in condominio sia spesso oggetto di discussione, non esiste alcuna legislazione nazionale che vieta la tenuta di animali come i gatti all’interno degli appartamenti. Tuttavia, le leggi condominiali possono limitare la presenza di cani e gatti in alcuni edifici. Le regole locali, le regole condominiali e il buon senso sono fondamentali per mantenere una convivenza pacifica tra inquilini e animali domestici.  La Riforma del Condominio (Legge n. 220/2012) ha reso più chiaro il problema delle persone che possiedono animali domestici, come i gatti, in condominio. La legge stabilisce che è illegale vietare la presenza di animali domestici negli appartamenti. La riforma dell’articolo 1138 ha aggiunto una clausola significativa per migliorare le regole di convivenza tra inquilini: il possesso di animali domestici non può essere vietato dalle norme del regolamento. Questo significa che ogni persona ha il diritto, almeno in teoria, di convivere con il proprio gatto nelle proprie proprietà. Il regolamento condominiale di tipo contrattuale, cioè approvato all’unanimità da tutti i condomini, può mettere dei paletti al possesso di gatti e in generale di animali domestici ma comunque non può comunque vietare  la presenza di animali domestici negli appartamenti. Gli affittuari sono soggetti a norme aggiuntive legate al contratto di locazione. L’affittuario dovrà rispettare la clausola di divieto di detenzione di animali nel contratto firmato con il locatore dell’appartamento. Il regolamento condominiale non può modificare questo vincolo. Un’altra casistica che può verificarsi in un condominio è quella delle colonie feline, che sono un gruppo di gatti che non hanno proprietari e si rifugiano nel condominio. Una legge specifica, la Legge n. 281/1991, regola la gestione delle colonie feline e garantisce agli animali il diritto di rimanere nel loro habitat naturale. Infatti, il comma 7 dell’articolo 2 di questa legge stabilisce che è vietato allontanare i gatti di una colonia dal luogo che hanno scelto come dimora, a meno che non si verifichi una situazione eccezionale a causa di problemi sanitari o di sicurezza.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Manutenzione balconi in condominio. Chi deve pagare?

Ci sono innumerevoli contenziosi sulla distribuzione dei costi per la manutenzione delle ringhiere del condominio. In questo articolo cercheremo di rendere tutto più chiaro. Il singolo proprietario del balcone o il condominio si devono fare carico delle spese per la manutenzione di ringhiere e balconi a seconda dei casi . Per affrontare  questo argomento, è necessario conoscere le leggi in vigore riguardanti la tipologia di lavoro da svolgere e il tipo di balcone. Due sono fondamentalmente i casi e due , di conseguenza sono i modi in cui le spese per la manutenzione delle ringhiere del condominio possono essere suddivise. Vi sono due tipologie differenti di balconi. I balconi che sporgono rispetto ai muri perimetrali dell’edificio sono detti aggettanti. Costituiscono una appendice della unità immobiliare. Pertanto, i balconi aggettanti sono di proprietà esclusiva del proprietario dell’appartamento. I balconi incassati invece sono inseriti nella struttura portante dello stabile e si trovano all’interno del perimetro dell’edificio, formando una rientranza rispetto alla sua facciata. Ogni persona è tenuta a pagare le spese di manutenzione del proprio balcone aggettante , secondo la legge (Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14576). Il codice civile parla chiaro: “Un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.” Il discorso sulla manutenzione dei balconi incassati cambia perché svolgono una funzione di sostegno dello stabile e dunque tutti i condomini devono certamente sostenere le spese di manutenzione per ringhiere di questo tipo.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Sostegno del reddito: Naspi

Nel 2024, l’unico requisito per ottenere il diritto alla Naspi è aver maturato almeno tredici settimane di contributi nel quadriennio che precede l’invio della domanda. La domanda deve essere presentata solo on-line dopo la scadenza del contratto a termine. (Se possiedi le credenziali di accesso al sito Inps, puoi presentare l’istanza da solo). È necessario prestare attenzione a presentare per tempo la domanda. Il diritto alla Naspi decade se trascorrono più di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Si può presentare domanda anche dal giorno successivo alla scadenza del contratto o dal licenziamento. La meta dei contributi versati nell’ultimo quadriennio equivale alla durata della Naspi . Se per esempio un soggetto ha lavorato solo per sei mesi, avrà diritto a tre mesi di Naspi. L’importo della Naspi varia anche da caso a caso perché dipende dalla retribuzione media del periodo lavorativo che da diritto alla Naspi (sempre l’ultimo quadriennio). Se le retribuzioni medie in questione sono inferiori a 1.425,21 euro, spetta il 75% di questo importo. Se, invece, è maggiore, spetta il 75% di 1.425,21 euro, a cui si aggiunge il 25% sulla differenza. Comunque, il totale mensile non può eccedere i 1.550,42 euro. Il disoccupato ha la possibilità di presentare una domanda di anticipo Naspi dopo aver ricevuto l’approvazione dell’istanza dell’Inps. In questo modo, l’intero importo viene pagato in una sola soluzione, su cui opera la trattenuta Irpef. E’ possibile richiedere l’anticipo dell’indennità di disoccupazione se si è in una delle seguenti condizioni: iniziare un’impresa individuale o un’attività autonomo aprendo una Partita Iva; diventare socio di una cooperativa.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Congedo parentale 2024.

La legge di bilancio del 2024 (L. 213/2023) ha aumentato l’indennità di congedo parentale per madri o padri per un secondo mese, su un totale di sei mesi entro il sesto anno di vita del bambino. L’indennità, che attualmente è fissato al 30% della retribuzione imponibile, aumenterà all’80% per due mesi nel 2024. Nel 2025 diventerà un mese  all’80%  al 60% per un altro mese. La novità riguarda  tutti i dipendenti, sia pubblici che privati. Se l’evento è del 2022 o 2023, l’INPS richiede l’inserimento della data di fine congedo. Questo è per facilitare l’esecuzione delle richieste in ordine cronologico. Se l’evento è del 2022 o 2023, l’INPS richiede l’inserimento della data di fine congedo. Questo è per facilitare l’esecuzione delle richieste in ordine cronologico.  Invece, per gli eventi di nascita o ingresso in famiglia del  2024 non è necessario l’inserimento della data di fine congedo. La legge consente oggi aa un genitore di astenersi dal lavoro  nei primi dodici anni di vita dell’infante  per un massimo di dieci mesi . Nel caso in cui il padre si metta in congedo per almeno tre mesi continuativi si aggiunge un mese ulteriore.

L’INPS ha finalmente chiarito le modalità operativo per la fruizione dell’indennità con la circolare 57 2024. E’ bene ricordare che che il mese con l’indennità aumentata può essere utilizzato in modo alternato dai due genitori o esclusivamente da uno di essi, anche se è utilizzato in modo spezzato, come giorni o ore. Nella circolare vengono definite le varie percentuali dell’indennità. Indennità all’80% per il primo mese e per il secondo (solo se utilizzato nel 2024), o 60% per il secondo mese se utilizzato dal 2025. I restanti sette mesi sono indennizzati all’80%. L’ultimo aggiornamento da parte dell’INPS riguarda la richiesta dell’aliquota maggiorata all’80%. Il lavoratore dovrà selezionare nella sezione “Dati domanda” della domanda elettronica, “Dichiaro di voler richiedere l’indennizzo con aliquota maggiorata”. Il lavoratore dovrà indicare almeno una delle seguenti date se la data di parto o di ingresso in famiglia per affidamento o adozione ricade nel 2022:
l’ultimo giorno di congedo di maternità che un dipendente del settore pubblico o privato ha utilizzato.
l’ultimo giorno di congedo di paternità alternativo che un dipendente del settore pubblico o privato ha utilizzato.
l’ultimo giorno di congedo di paternità obbligatorio che un dipendente del settore pubblico o privato ha utilizzato.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

Tassa di soggiorno a Roma. Un salasso soprattutto per gli affittacamere. Ma i servizi?

E’ un dato di fatto che costo di una vacanza aumenta con la tassa di soggiorno. L’imposta, che ora il Ministero del Turismo sta pianificando di portare a un massimo di 25 euro, può oggi raggiungere i 10 euro, a seconda della città e della tipologia di struttura dove si alloggia. La destinazione più costosa è Roma, mentre Otranto (nella provincia di Lecce) e Sorrento sono le più economiche. La scorsa estate era già stato deciso di aumentare il contributo richiesto ai visitatori per il loro soggiorno nella capitale d’Italia. Il provvedimento ha stabilito un livello che va da 3,5 euro per gli ostelli a 10 per gli “alberghi a 5 stelle o a maggiore classificazione”. Il costo per gli affittacamere varia da 5 a 7 euro a seconda della categoria. 6 euro invece sono previsti per i Bed and Breakfast. La Federalberghi di Roma si è detta fermamente contraria all’aumento del costo della tassa di soggiorno nelle strutture ricettive . Il presidente di Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli, ritiene l’orientmento inaccettabile. Ecco le sue parole: “Da un anno a questa parte il turismo di Roma è tornato a creare occupazione, PIL e indotto superando ogni competitor anche in ragione dell’eccezionale sforzo dell’Assessore Onorato, teso a riportare in città concerti ed eventi di ogni tipo ed enorme richiamo: che senso ha vanificare tutto questo lavoro con un’iniziativa che toglie nuovamente competitività alla nostra città sul mercato nazionale ed internazionale? Mentre tutto il mondo parla della nostra mancanza di servizi – dalla raccolta rifiuti, alla carenza di mezzi pubblici, alla mancanza di taxi – diventiamo leader in Europa per la tassazione ai turisti… 

Non ci vuole molto a fare due conti. In un affittacamere di categoria 1, una famiglia di 4 persone con bimbi che hanno più di 10 anni paga 28 euro al giorno di tassa di soggiorno. Un salasso. Numero sono le disdette che arrivano alle strutture non appena i clienti si accorgono dell’importo della tassa di soggiorno. Una mannaia che sta colpendo questi piccoli imprenditori di cui pochi si occupano. In tanti vedono come un’ingiustizia questi aumenti spropositati.

E’ bene ricordare come alcuni soggetti non sono tenuti a pagare la tassa di soggiorno.
1) La tassa non è applicata ai bambini di età inferiore a dieci anni.
2) Le persone con disabilità o i loro accompagnatori in alcunik casi non pagano la Tassa di Soggiorno.
3) Gli studenti che rimangono a casa per motivi di studio sono esenti .

Ecco la tabella con tutte le tariffe in base alla tipologia di struttura

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

TIPOLOGIA STRUTTURA TARIFFA
(per persona)
Albergo a 1 Stella Euro 4, 00
Albergo a 2 Stelle Euro 5, 00
Albergo a 3 Stelle Euro 6, 00
Albergo a 4 Stelle Euro 7, 50
Albergo a 5 Stelle o superiore Euro 10, 00
Agriturismi Euro 6, 00
Residenze turistiche alberghiere Euro 6, 00
Guest House o Affittacamere Categoria 1 Euro 7, 00
Guest House o Affittacamere Categoria 2 Euro 6, 00
Guest House o Affittacamere Categoria 3 Euro 5, 00
Hostel o Ostelli Euro 3, 50
Case e Appartamenti per Vacanze Categoria 1 Euro 6, 00
Case e Appartamenti per Vacanze Categoria 2 Euro 5, 00
Case per Ferie Euro 6, 00
Bed and Breakfast Euro 6, 00
Country house o Residenze di campagna Euro 6, 00
Rifugi Montani Euro 3, 50
Rifugi Escursionistici Euro 3, 50
Case del Camminatore Euro 3, 50
Alloggi per uso turistico Euro 6, 00
Immobili destinati alla Locazione Breve Euro 6, 00

Bonus Auto Elettriche 2024. Vediamo quali sono i requisiti.

Nel 2024 il Il Bonus Auto Elettriche consente il riconoscimento di un contributo massimo di 13.750 € se viene rottamato un veicolo Euro 2. Cosi anche le persone che non possono spendere tanti soldi possono ottenere incentivi per l’acquisto di auto elettriche. Tutto questo allo scopo di promuovere la mobilità sostenibile e elettrica.  Per chi è previsto un incentivo per l’acquisto di un veicolo elettrico? Innanzitutto bisogna avere ha un ISEEE inferiore a 30.000 €. Poi bisogna rottamare  un veicolo tra Euro 0 e Euro 5. Se invece non non si rottama nulla si ottiene il minimo dell’incentivo. Saranno I concessionari ad attivare la procedura on line (sito Web del Ministero dello Sviluppo Economico) inserendo i dati del compratore e del veicolo. Una ricevuta di prenotazione sarà rilasciata al concessionario alla fine del processo. Il prezzo della vettura non deve superare i 42.700 €, Iva inclusa, per poter beneficiare degli incentivi auto per l’acquisto di veicoli elettrici. Le nuove condizioni e le spese degli incentivi per auto elettriche per il 2024 sono le seguenti:
Primo caso. ISEE superiore a 30.000 €:
Senza rottamazione: 6.000 € di incentivo;
Con rottamazione di un’auto Euro 4: 9.000 €;
Con rottamazione di un’auto Euro 3: 10.000 €;
Con rottamazione di un’auto da Euro 0 a Euro 2: 11.000 €;
Secondo caso. ISEE inferiore ai 30.000 €:
Senza rottamazione: 7.500 € di incentivo;
Con rottamazione di un’auto Euro 4: 11.250 €;
Con rottamazione di un’auto Euro 3: 12.500 €;
Con rottamazione di un’auto da Euro 0 a Euro 2: 13.750 €;
Novità: Rottamando un’auto Euro 5, il bonus sarà di 8.000 €.
Secondo caso. Bonus Auto Termiche 2024
Senza rottamazione:0 euro
Con rottamazione di un’auto Euro 4 o 3:2.000 €
Con rottamazione di un’auto da Euro 0 a Euro 2: 3.000 €

Il Bonus Auto Elettriche sarà valida dal 1 gennaio al 31 dicembre 2024 o anche prima se i fondi saranno prosciugati. Un requisito importante è che l’auto acquistata dovrà essere posseduta per almeno 12 mesi.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano