Assegni familiari in scadenza: domande entro il 30 giugno

di Paolo Liverani

fonte:quotidiano.net

ANF non è l’acronimo di una associazione ma significa assegno ai nuclei familiari. Più comunemente chiamato assegno familiare. Anche se per l’Inps, che lo eroga, il vero assegno familiare viene attribuito ad alcune categorie di lavoratori e pensionati che non possono godere dell’Anf: i coltivatori diretti, coloni e mezzadri e i pensionati delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri). Gli importi mensili per coltivatori diretti, coloni e mezzadri è di 8,18 euro per ogni figlio ed equiparato, fratelli, sorelle e nipoti conviventi. Per i pensionati l’assegno è di 10,21 euro per ogni persona a carico.

IL 30 GIUGNO scade il termine per presentare la domanda per l’Anf. I lavoratori dipendenti devonono inoltrarla al datore di lavoro. Oppure va all’Inps, se il richiedente è addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata, o è beneficiario di altre prestazioni previdenziali Inps. In questi giorni è stata pubblicata la tabella che incrocia scaglioni di reddito, numero dei componenti della famiglia e relativo assegno mensile. La tabella è integralmente visibile e consultabile sul nostro sito: www.quotidiano. net.

L’Anf, che copre un periodo temporale che va dal primo luglio al 30 giugno dell’anno successivo, viene rivalutato in base all’inflazione. Quest’anno gli importi sono stati alzati del 2,7%. L’assegno per il nucleo familiare, come recita il regolamento dell’Inps, è una prestazione a sostegno delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei titolari di prestazione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, che abbiano un reddito complessivo sotto le fasce stabilite ogni anno per legge. La sussistenza del diritto e l’importo dell’assegno dipendono dal numero dei componenti, dal reddito e dalla tipologia del nucleo familiare.

IL REDDITO considerato ai fini della concessione e dell’importo dell’assegno è costituito dalla somma dei redditi del richiedente e dei familiari che concorrono alla composizione del nucleo nell’anno solare precedente il primo luglio dell’anno per il quale viene richiesto l’ assegno e vale per la corresponsione fino al 30 giugno dell’anno successivo. I redditi da considerare sono quelli superiori a 1.032 euro lordi annui assoggettabili all’Irpef o di qualsiasi natura, compresi gli interessi dei conti correnti bancari e postali, e gli interessi dei titoli di Stato. Il reddito familiare deve essere composto per almeno il 70% da proventi da lavoro subordinato.

NELL’IMMAGINARIO comune le soglie di reddito per il diritto all’assegno sono considerate piuttosto basse. Ma in realtà il diritto alla prestazione esiste anche nel caso di redditi alti, pur in presenza di un consistente numero di componenti del nucleo familiare. L’assegno, seppure modesto, è previsto infatti fino alla somma di 105.537,35 euro lordi l’anno, per famiglie con almeno sette componenti. Sono molti i casi di lavoratori che non fanno richiesta dell’assegno pensando di non averne diritto. E la legge prevede anche la possibilità di avere gli arretrati. La prescrizione scade dopo 5 anni. La richiesta di eventuali arretrati va fatta al datore di lavoro o all’Inps.

PROROGATO IL TERMINE DI VALIDITÀ DELLE CARTE DI IDENTITÀ

Carta di identità prorogata fino al compleanno successivo del compleanno del titolare. Abrogato il limite di età di 15 anni per il rilascio.

La validità delle carte di identità su carta ed elettroniche e di tutti i documenti di riconoscimento rilasciati dal 10 febbraio scorso è prorogata automaticamente al compleanno successivo a quello di scadenza del documento stesso.

E’ stato abrogato anche il limite minimo di età previsto per il rilascio della carta d’identità, che adesso può essere rilasciata anche ai minori di 15 anni.

In Italia troppe uova fuori legge

di VALENTINA CORVINO fonte: il salvagente.it

Se qualcuno vi dicesse che la frittata che avete mangiato ieri, o nei giorni scorsi, è illegale, ci credereste? Ebbene sì, c’è un’alta probabilità che le uova che avete utilizzato siano fuorilegge. È quello, per lo meno, che sostiene il settimanale dei consumatori il Salvagente nell’inchiesta. Partendo da un’equazione semplice: visto che nel nostro paese ci sono circa 18 milioni di galline allevate in gabbie che non rispettano la legge (su un totale di 48 milioni di animali), le loro uova o sono sparite nel nulla o finiscono nei nostri piatti “mascherate”.

Gabbie vietate

Ma andiamo con ordine. Dal 1° gennaio 2012, per effetto di una direttiva comunitaria (la 74/99) sono vietati su tutto il territorio comunitario gli allevamenti di galline ovaiole con gabbie “non modificate”. In Italia, invece, accanto ad aziende che a loro spese si sono adeguate alla nuova normativa, ce ne sono molte altre che continuano a mantenere i sistemi vietati con la compiacenza delle istituzioni che poco hanno fatto per dare seguito ai dettami dell’Europa, anche dopo una procedura di infrazione del 2003.

Grande confusione

Il risultato è che regna una gran confusione e il consumatore non è in grado di distinguere tra le uova che circolano con un codice vero e quelle che, invece, potrebbero avere un codice “taroccato”. La situazione che si è venuta a creare è paradossale: dal 1° gennaio 2012, infatti, il codice 3 contraddistingue le uova di galline allevate in gabbie arricchite. Per le altre non esiste un codice identificativo, né alcun tipo di imballaggio perché non possono essere commercializzate. Che fine fanno queste uova? Vengono distrutte? Difficile pensare che sia così. Che vengano immesse sul mercato con il codice 3 e che, dunque, finiscano per alimentare una frode in commercio è più che un sospetto, concludono dal Salvagente.

La filiera non vede e non parla

Ma è possibile che nessuno controlli e sanzioni? Avicoltori che allevano in sprezzo delle norme e centri di imballaggio che operano senza chiedersi da quali allevamenti provengano le uova che imballano ed etichettano? Per la verità le responsabilità non si fermano qui, perché anche la grande distribuzione organizzata dovrebbe almeno chiedersi la provenienza delle uova che espone sui suoi scaffali. Ma la filiera – in questo caso – non vede, non sente e non parla.

Rimpallo ministeriale

Il ministro delle Politiche agricole e forestali, Mario Catania, aveva fatto sapere che “sta provvedendo ad adeguare il regime sanzionatorio nei confronti delle aziende che al 1° gennaio 2012 non saranno in regola con le nuove disposizioni’ . In realtà non c’è bisogno di “adeguare il regime sanzionatorio”, basterebbe applicare le regole che ci sono. La Legge comunitaria 2008, infatti, individua proprio il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali come soggetto competente al controllo per l’applicazione delle disposizioni citate, tramite l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (Icq). Con quali poteri? Qualora la partita controllata non sia ritenuta conforme, il servizio di Ispezione (l’Icqrf) ne può vietare la
commercializzazione. Da quello che ci risulta, però, nessuna partita fino a oggi è stata mai ritirata dal commercio.

L’inerzia delle istituzioni

La cosa più sconcertante, secondo il Salvagente, è proprio l’inerzia delle istituzioni. Se il ministero della Salute, seppur tardivamente, ha disposto un censimento degli allevamenti in regola, dalle Politiche agricole le prese di posizione sono ancora troppo deboli ma, soprattutto, ferme a un decreto ministeriale del 2011 adottato, tra l’altro, contro la volontà del ministero della Salute. E comunque destinato a non risolvere la questione.

Adesione volontaria

Il decreto, infatti, ha come oggetto le procedure per la presentazione di “istanze di adesione volontaria al programma di adeguamento degli impianti di allevamento delle galline ovaiole alle norme per il benessere animale mediante l’introduzione di nuove gabbie”. Istanze che saranno poi inserite in un elenco nazionale “da istituire” presso il ministero con articolazione regionale, e in base a cui potrà essere concesso l’accesso a programmi di sviluppo rurale e ad altri strumenti di finanziamento. La procedura di acquisizione on line di queste istanze presentate dalle aziende interessate, attiva dal 30 settembre 2011, è scaduta il 31 ottobre 2011, ma è stata ovviamente prorogata al 31 dicembre 2011.

13 anni di ritardi

È possibile che dopo 13 anni stiamo ancora cercando di trasformare un adempimento obbligatorio in un’adesione volontaria? È fuori dubbio che il passaggio da un sistema all’altro, da gabbie convenzionali a gabbie “modificate”, richieda investimenti onerosi per le aziende zootecniche, ma è altrettanto vero che 13 anni sono un tempo sufficientemente lungo per un passaggio morbido verso il nuovo sistema di allevamento. Basti pensare che la Germania si è messa in regola nel 2009 e lo ha fatto in soli 9 mesi e la Svizzera dal 1980 ha bandito le gabbie di batteria. In Italia, invece, le istituzioni sono in balia di una lobby – questa volta degli avicoltori – e a pagare le conseguenze sono, ancora una volta, i consumatori. E gli allevatori che hanno investito per tempo per adeguarsi alle legge e devono competere con i colleghi che se ne sono infischiati.