L’epatite da virus C non è solo una malattia del fegato. È vero che il virus Hcv aggredisce quest’organo e può provocare una malattia cronica epatica, fibrosi e persino un tumore, l’epatocarcinoma, ma la sua permanenza nell’organismo fa ben altro: crea infiammazione, che compromette altri sistemi e favorisce la comparsa di altre patologie. Ecco perché si dovrebbe parlare di malattia da virus C. Una visione nuova, di cui si è parlato a Boston in occasione della Croi (Conference on retrovirus and opportunistic infections). Spiega Giuliano Rizzardini responsabile della I Divisione di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano: «Tre pazienti su quattro, con un’infezione cronica da virus C, possono andare incontro a una serie di complicanze come crioglobulinemia (la presenza di proteine anomale nel sangue che possono provocare danni ai piccoli vasi, ndr), linfomi, diabete, problemi cardiovascolari o danni renali più facilmente rispetto a chi non ce l’ha. Eliminando il prima possibile il virus, si possono anche prevenire o controllare queste situazioni».
Le complicanze al rene
A partire dalle complicanze per il rene: oggi le formulazioni più innovative di farmaci antivirali, come il cosiddetto schema 3D (che comprende tre nuove molecole: ombitasvir, paritaprevir e dasabuvir, associati al ritonavir, che aumenta la risposta del sistema immunitario al virus) possono fare a meno della ribavirina, che presenta una nota tossicità renale (è in corso la modifica del foglietto illustrativo da parte dell’ Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci). E questo è già un vantaggio perché protegge il rene e impedisce la comparsa di anemie. Ma il problema principale è curare precocemente questi malati, proprio per evitare complicanze, e, possibilmente, con combinazioni di farmaci che impediscano lo sviluppo di resistenze da parte del virus.
Farmaci senza effetti collaterali
A tutt’oggi l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha previsto di trattare in Italia, a partire dal gennaio 2015, una prima tranche di 50 mila pazienti, quelli più gravi, con fibrosi del fegato e cirrosi, e persone che hanno subito trapianti (non di fegato, ma di altri organi o di midollo osseo). Ma adesso la comunità scientifica preme, e fa notare come un trattamento precoce, già nelle fasi iniziali della malattia, può rappresentare un vantaggio per il paziente e anche un risparmio economico, sulla lunga distanza, per il Sistema Sanitario Nazionale. Conferma Andrea Gori, infettivologo all’Ospedale San Gerardo di Monza e all’Università Milano Bicocca: «Pazienti con epatite C e con alterazioni degli zuccheri del sangue (anticamera del diabete, ndr), se trattati con farmaci antivirali, mostrano un miglioramento impressionante di tutti i parametri metabolici». E questo è solo un esempio. Oggi esistono farmaci non solo efficaci contro il virus C, ma anche relativamente privi di effetti collaterali (la durata delle terapie varia da 3 a 6 mesi, per una cura completa in oltre il 90 per cento dei casi), che permettono di trattare subito i malati, senza aspettare, come in passato, che la malattia progredisca.
Il problema dei costi
Il problema è quello dei costi, ma anche della performance dei farmaci stessi. «Chi si occupa di spesa sanitaria pubblica — commenta Massimo Andreoni professore di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata — deve considerare il prezzo dei nuovi anti-epatite C, ma deve tenere conto anche del peso, in termini economici, delle malattie correlate all’infezione da Hcv». Non solo, ma occorre considerare anche il rischio di trasmissione dell’infezione. «Una persona guarita — precisa Carlo Federico Perno virologo all’Ospedale Spallanzani di Roma — non infetta gli altri». Ultima considerazione come ha sottolineato a Boston Mark Sulkowoski della Johns Hopkins University di Baltimora: «Il trattamento anti-Hcv è complesso perché il virus muta e replica in tempi rapidi. Ecco perché le formulazioni di farmaci devono essere capaci di aggredirlo in più punti contemporaneamente».
fonte Il Corriere della sera