GREEN ECONOMY: PROGRESSI E SMENTITE DAL VERTICE DI RIO 2012

di Petula Brafa

Archiviato il vertice di Rio de Janeiro, i Paesi intervenuti da ogni continente dovranno fare i conti con le conclusioni emerse dai lavori avviati il 13 giugno scorso, tra le considerazioni sul futuro a rischio del pianeta annunciate dal segretario di Stato americano Hillary Clinton e condivise da altri rappresentanti stranieri, e le contestazioni del “Vertice dei popoli”, controparte ambientalista radunante organizzazioni non governative, esperti di economia sostenibile, sindacati, contadini ed indios.

Infatti, nonostante le premesse fissate a Rio nell’edizione del 1992, anno del primo summit sulla Terra, – all’epoca scolpite in un testo in favore delle politiche ambientali in grado di raccogliere l’attenzione internazionale – , la Conferenza 2012 registra interventi ancora parziali sulla strada del recepimento dello sviluppo sostenibile e del finanziamento delle risorse energetiche nei paesi più poveri.

Più concretamente, tanto la produzione e commercializzazione di merci, – nonché lo svolgimento di rapporti e scambi economici – , quanto l’approvvigionamento energetico in generale restano ancora legati all’impiego del carbone e di inquinanti, con le conseguenti ripercussioni sullo stato di salute del pianeta e, soprattutto, sulle proiezioni a lungo termine dello sviluppo perseguito contro la crisi economica contemporanea.

Secondo l’ONU, infatti, la “green economy”, – fondata sull’ottimizzazione del rapporto tra produzione, mercato e impatto ambientale, dunque, su riduzione ed azzeramento dei sovraccosti di risanamento dell’inquinamento da sfruttamento energetico – , potrebbe inaugurare la svolta occupazionale nel Nuovo e nel Vecchio Continente, dove i dati della Commissione Europea prevedono addirittura 20 milioni di nuovi posti di lavoro al 2020, dei quali 14 milioni nella preservazione del territorio e della biodiversità, 2 milioni nel controllo energetico, 3 milioni nell’ambito delle energie rinnovabili ed un milione nella gestione dei rifiuti.

E proprio per queste ragioni, il documento finale della Conferenza 2012 ha incontrato il disappunto delle ong, in quanto debole e privo di impegni vincolanti non solo per il finanziamento delle economie più povere, ma soprattutto per la condotta delle nazioni emergenti, – quali Brasile, India, Cina – , resistenti a potenziali condizioni e restrizioni alla crescita, seppure in nome della salvaguardia ambientale.

In una lettera al segretario generale dell’ONU Ban Ki moon, le stesse organizzazioni hanno formalizzato la loro delusione, ribadendo il contrasto della coscienza civile al limite dell’indirizzo di Rio 2012 e l’emergenza di un progetto ad adesione planetaria.

In rappresentanza del Governo, “L’Italia” – ha detto il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini – “è convinta che l’economia verde è uno strumento fondamentale per conseguire uno sviluppo sostenibile.” E promuovendo riforme strutturali a livello nazionale e globale, onerose ma ripaganti nel lungo periodo per crescita, preservazione ambientale ed equità sociale, il Ministro ha rimarcato l’importanza dell’investimento dei privati. “L’uso efficiente e il ri-orientamento del capitale esistente” – ha evidenziato Clini – “costituiscono la più promettente strategia di breve termine”.

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