Leggiamo le etichette dei nostri vestiti.

Quando indossiamo un capo di abbigliamento sappiamo realmente cosa c’è nei tessuti? Per questo scopo ci vengono incontro le etichette che ci svelano i composti dei nostri tessuti. In linea generale possiamo avere materiali derivanti da materie prime naturali o di sintesi chimica. Quelli naturali sono ovviamente di origine vegetale (canapa, lino, cotone, ecc.) oppure animale (cuoio, lana, pellicce, ecc.). Quelli chimici sono costituiti da polimeri come i poliesteri o il nylon. Da non trascurare gli accessori e le cerniere che sono costituiti principalmente da metalli o plastiche. Prima di diventare la nostra maglietta o il nostro pantalone il tessuto viene sottoposto ad una serie di trattamenti che danno come risultato finale il colore e la consistenza desiderata.

In questi processi di trasformazione delle fibre possono essere usate diverse sostanze chimiche come ad esempio i coloranti oppure sostanze che aumentano la resistenza dei tessuti. Ce ne sono però alcune pericolose Per evitare dei danni ai consumatori, il Regolamento (CE) n. 1907/2006 (Regolamento REACH) obbliga ai produttori di tali sostanze a fornire informazioni sui vari prodotti utilizzati e se nelle materie prime ci siano sostanze motlto pericolose (le cosidette “Substance of Very High Concern”o meglio le SVHC). Tra le sostanze chimiche “pericolose” che vengono utilizzate più spesso dai fornitori ci sono la formaldeide, metalli pesanti e ftalati (gli ftalati sono ritenuti quelli più pericolosi). Da circa 10 anni numerose ricerche scientifiche hanno posto il problema dei rischi derivanti dall’esposizione agli ftalati. Questi risultano essere molteplici e sono collegati allo sviluppo di alcune malattie, come il diabete o l’asma, ma anche problemi e disturbi di fertilità. Il problema più grave però pare essere legato alla funzionalità nel sistema endocrino.

Direttore Umberto Buzzoni
Avv. Anna Maria Calvano

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