Rispunta il taglio del 25% degli stipendi ai manager pubblici

managerda Corriere.it

Al termine di una maratona durata fino a mezzanotte è stato trovato l’accordo sui compensi dei manager pubblici: tutti quelli che non rientrano già nel tetto introdotto con il Salva-Italia (circa 300mila euro, quanto guadagna il primo presidente della Cassazione) al prossimo rinnovo si vedranno sforbiciare del 25% i compensi, «a qualunque titolo determinati». Il provvedimento, dopo aver ricevuto il via libera delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato, arriverà in Aula nella mattinata alle 9:30. Ieri è arrivata intanto l’annunciata cancellazione del Durt, il contestatissimo documento unico di regolarità tributaria, e nel pomeriggio è stato approvato anche il nuovo pacchetto «Expo», che prevede tra le altre cose l’Iva agevolata al 10% sui biglietti di ingresso all’Esposizione Universale.

LO STOP REVOCATO – Nel pomeriggio era trapelata la «forte irritazione» dell’esecutivo, dopo l’intervento dei senatori che, in commissione, per risolvere la questione delle modifiche al tetto agli stipendi dei manager avevano semplicemente soppresso le modifiche introdotte alla Camera, precludendo così il voto sull’emendamento del governo che introduceva una nuova stretta anche per i manager delle società pubbliche quotate. A Montecitorio si erano esentate dal tetto introdotto dal Salva-Italia le società pubbliche non quotate che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica, restringendo di fatto la sua applicazione. La linea del governo, con una proposta di modifica che non aveva trovato l’accordo delle forze politiche, era invece quello di ampliare la platea di manager cui «sforbiciar» i compensi, prevedendo un taglio del 25% di quelli dei manager delle società pubbliche quotate (e introducendo per le non quotate un sistema «differenziato»).

è iniziato così un duro braccio di ferro, i lavori delle commissioni sono stati sospesi più volti e le riunioni di maggioranza si sono susseguite fino a tardi, con toni molto accesi, fino alla minaccia di rimanere a lavorarci su per tutto il mese di agosto. Il ministro Dario Franceschini ha ribadito la volontà del governo di ridurre i compensi. Alla fine si è trovato un compromesso con il taglio del 25% per tutti i manager delle società pubbliche quotate e per quelle non quotate che emettono titoli non azionari (e loro controllate).

Saranno pubbliche le dichiarazioni di Manager Pubblici, presidi ed Università

dichiarazionida IlSole24ore

Non sono solo i politici a dover mettere in piazza (virtuale) i propri redditi. Sui siti istituzionali della Pubblica amministrazione devono finire anche le dichiarazioni dei manager delle società partecipate, e quelle dei coniugi se danno l’assenso. A questi obblighi sono tenuti anche i dirigenti scolastici, le università, le Camere di commercio e tutte le altre ramificazioni della «Pubblica amministrazione» nel senso più largo del termine. Per chi non si adegua, la multa può arrivare fino a 10mila euro.

La nuova ondata di trasparenza è prevista dal marzo scorso, quando è stato approvato il Dlgs 33/2012 che ha attuato su questi temi la delega contenuta nella legge anti-corruzione di fine 2012 (legge 190/2012). A definirne puntualmente le ricadute, disegnando un ambito applicativo parecchio ampio per le nuove regole, sono due delibere diffuse nei giorni scorsi dalla Civit, la commissione per la Valutazione e la Trasparenza della Pa che ha oggi anche la veste di Authority nazionale anti-corruzione.

I dati

L’elenco dei dati da pubblicare sul sito Internet di ogni ente è lungo: oltre alle dichiarazioni dei redditi e a un riassunto certificato dei beni immobili e dei titoli mobiliari posseduti, in rete devono finire il curriculum, lo stipendio connesso alla carica e tutte le indennità e i rimborsi per viaggi e missioni determinati da eventuali altre cariche ricoperte e pagate dalla finanza pubblica

Dove si applica

Parlamentari, presidenti di Regione, di Provincia, sindaci, assessori e politici locali sono i primi destinatari delle nuove regole, e questo si sapeva, anche se non sempre l’applicazione è stata puntuale e inappuntabile. I tecnici della Civit, però, fanno un passo in più, e nella delibera 65/2013 spiega che le regole di trasparenza si applicano a tutte le Pubbliche amministrazioni elencate all’inizio del Testo unico sul pubblico impiego (articolo 1, comma 2 del Dlgs 165/2001). Tradotto in italiano, significa Stato, Regioni, Province, Comuni, scuole, università, Iacp, Camere di commercio, Inps, enti pubblici in genere (Aci, Istat e via elencando), agenzia delle Entrate e delle Dogane e, per finire, il Coni. Non solo: per via di una serie di richiami normativi, nella rete della trasparenza finiscono tutte le società partecipate da enti pubblici, anche se la loro quota è minoritaria. Unica eccezione, le società quotate.

Chi deve pubblicare i dati

Non sono solo i politici, insomma, a dover far conoscere a tutti i navigatori la propria situazione economica e patrimoniale, oltre agli studi e alle esperienze condotte per raggiungerla. Oltre ai titolari di cariche elettive, la legge fa riferimento agli organismi che esercitano «poteri di indirizzo politico», una definizione che evidentemente la Civit interpreta in senso ampio. Nelle società partecipate, la regola si dirige quindi a presidente, amministratore delegato e membri del consiglio di amministrazione, e più in generale coinvolge gli organi direttivi delle amministrazioni pubbliche.

Resta da capire come si svolgerà l’applicazione, e le contestazioni che probabilmente nasceranno fra i diretti interessati. Un quadro che si chiarirà probabilmente solo dopo la pausa estiva, anche se la scadenza è immediata e chi non si adegua si può veder arrivare una sanzione da 10mila euro.