Fondi UE 2014-2020: lotta alla burocrazia e piani di sviluppo nazionale

fondi-europei

È stato sottoscritto a Bruxelles lo scorso 29 ottobre l’Accordo di Partenariato sui fondi strutturali 2014-2020, con assegnazione all’Italia di 42 miliardi di euro, dei quali 22,2 da destinarsi alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), 7,6 alle più avanzate (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Veneto e province di Trento e Bolzano), 1,3 alle regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna), 1,1 alla Cooperazione territoriale europea, 10,4 per i programmi per lo sviluppo rurale ed infine 567,5 milioni di euro per Garanzia Giovani europea.

In occasione della formalizzazione, la Commissione ha richiesto la presentazione non solo delle procedure per la attuazione dei progetti da finanziare, ma soprattutto dei programmi di rafforzamento amministrativo (PRA), quale strumento di superamento agli ostacoli burocratici e condizione alla automatica erogazione dei fondi.

Nel ciclo di programmazione nazionale 2007-2013, infatti, la farraginosità burocratica e l’inefficienza amministrativa hanno rallentato il cammino dei progetti verso l’attuazione, sommando le lungaggini ai ritardi strutturali ed il mancato impiego al rischio di restituzione delle somme.

E proprio il basso tasso di avanzamento finanziario, ovvero il rapporto tra la spesa operata e certificata, ha evidenziato la necessità di un migliore adeguamento programmatico soprattutto al Sud.

«Le Regioni del Sud non sono le peggiori, ma sono solo più fragili, per questo esistono politiche di sviluppo orientate proprio per loro», – ha dichiarato a Lettera43.it  Lucio Paderi della Direzione generale europea Politica regionale, segnalando la difficoltà di impiego di risorse più ingenti nel Meridione.

“Su queste Regioni vengono indirizzati molti più soldi che al Nord, ma le misure sono più stringenti” – ha precisato – “e il combinato crea problemi anche solo nel presentare i progetti per ottenere i fondi».

Nel Sud, inoltre, la minore capacità di dinamismo e di innovazione amplifica le difficoltà strutturali, imbattendosi in una classe imprenditoriale frenata dal limitato accesso al credito e dalla miope rappresentanza politica; e nel corto circuito culturale tra l’utopia del posto fisso e l’urgenza lavorativa fino all’emigrazione.

E, qualora non bastasse, a violare le aspirazioni di crescita ecco l’ombra della illegalità, tanto più pervadente nelle regioni ritardatarie nella consegna dei programmi e tale da indurre la Commissione ad esigere dalle amministrazioni un programma di misure anticorruzione ed antifrode.

Infine, la babelica articolazione di livelli tra direzioni e di criteri tra uffici, piuttosto dell’auspicabile contenimento di stazioni appaltanti, non può ignorare i vincoli di spesa delle amministrazioni: infatti, a fronte del 75% di cofinanziamento europeo, il 25% dovrà essere stanziato a livello nazionale, con il rischio del singolo Comune di limitare la partecipazione con proprie risorse, in obbligo al Patto di Stabilità.

La questione è già nota agli addetti ai lavori: dal 2011 l’esecuzione dei fondi UE è passata dal 30% al 60% e proprio lo scorporamento dal Patto di Stabilità potrebbe ridurre i ritardi sul territorio ed incrementare la soglia di attuazione.

Fonte: lettera 43.it

3 novembre 2014

Petula Brafa

Siamo tutti convinti che quando beviamo un succo di arance (nettare) queste provengono dal sud Italia. Non e’ proprio cosi’. La maggior parte del succo di arancia che si beve in Europa, circa l’80%, proviene dal Brasile e dagli Stati Uniti (USA). Il succo d’arancia e’ solitamente esportato in forma liofilizzata e viene addizionato con l’acqua nel luogo di destinazione. Un altro colpo alla italianita’ di un prodotto che si riteneva specificatamente italiano, cosi’ come l’olio di oliva e il grano duro con il quale si fa la pasta. Il motivo e’ semplice: le varieta’ americane sono piu’ adatte alla produzione industriale di succhi, quelle italiane per il consumo tal quale. Ci sono anche succhi di frutta italiani ma la dizione “made in Italy” non e’ obbligatoria ma si puo’ sempre aggiungere. Consigliamo di bere una spremuta fatta sul momento o di mangiare arance: contengono piu’ flavonoidi (antiossidanti) dei succhi “industriali” senza polpa. C’e’, inoltre, il problema del gusto: una spremuta fresca ci sembra piu’ gustosa. Ma e’ un problema, per l’appunto, di gusti.

succoda Aduc – di Primo Mastrantoni

Siamo tutti convinti che quando beviamo un succo di arance (nettare) queste provengono dal sud Italia. Non e’ proprio cosi’. La maggior parte del succo di arancia che si beve in Europa, circa l’80%, proviene dal Brasile e dagli Stati Uniti (USA).

Il succo d’arancia e’ solitamente esportato in forma liofilizzata e viene addizionato con l’acqua nel luogo di destinazione. Un altro colpo alla italianita’ di un prodotto che si riteneva specificatamente italiano, cosi’ come l’olio di oliva e il grano duro con il quale si fa la pasta. Il motivo e’ semplice: le varieta’ americane sono piu’ adatte alla produzione industriale di succhi, quelle italiane per il consumo tal quale. Ci sono anche succhi di frutta italiani ma la dizione “made in Italy” non e’ obbligatoria ma si puo’ sempre aggiungere.
Consigliamo di bere una spremuta fatta sul momento o di mangiare arance: contengono piu’ flavonoidi (antiossidanti) dei succhi “industriali” senza polpa.
C’e’, inoltre, il problema del gusto: una spremuta fresca ci sembra piu’ gustosa. Ma e’ un problema, per l’appunto, di gusti.

Procedura d’infrazione sulla giustizia da parte dell Commissione Ue

giustiziada Aduc

Per la seconda volta in un mese, nel mirino è finita l’amministrazione della giustizia e l’attività dei magistrati del nostro Paese. Lo scorso 25 settembre l’Europa ha chiesto norme più rigorose sulla responsabilità dei giudici. Questa volta Bruxelles critica l’Italia perchè la Corte di Cassazione non applica il diritto europeo.
A dare vita a questa nuova procedura di infrazione è un caso giudiziario. Nel 1982 un imprenditore ha chiesto in giudizio il rimborso di una tassa legata a ispezioni veterinarie obbligatorie per prodotti importati in Italia. Quella tassa, secondo l’imprenditore, è in realtà un dazio illegittimo. Per ben due volte la Cassazione ha respinto la richiesta dell’imprenditore di rinviare il caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte di Cassazione in questo modo avrebbe violato il Trattato europeo. L’articolo 267, infatti, obbliga la Cassazione a rimettere gli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea per ottenere l’interpretazione di una norma di diritto europeo, laddove una parte ne faccia richiesta. Non si tratta di una semplice facoltà ma di un obbligo giuridico. La violazione di questo obbligo è causa diretta della durata eccessiva della vicenda giudiziaria vissuta dall’imprenditore, vicenda che si è trascinata per 31 anni. Se ci fosse stato il rinvio, i giudici italiani avrebbero compreso prima il contenuto della norma e sarebbero arrivati in tempi brevi ad una sentenza definitiva. Questa violazione ormai non può essere più sanata, dal momento che le richieste di rinvio presentate dall’imprenditore sono state ormai respinte. Non solo. Le decisioni già prese dalla Corte non possono essere modificate. La nuova procedura di infrazione ha come scopo adesso quello di verificare se le norme processuali italiane impediscono il rimborso alle imprese e ai cittadini di tasse che, secondo il diritto europeo sono illegittime.

Eurostat: In Italia meno diplomati e più abbandoni scolastici

abbandonoda Repubblica.it

l tasso di abbandono scolastico cala in Europa, ma l’Italia è in controtendenza. Il quadro non lusinghiero per il nostro Paese viene descritto da Eurostat. Che, in un rapporto appena diffuso, rileva come la percentuale di studenti che lasciano la scuola in generale sia nel 2012 diminuita, avvicinando gli obiettivi fissati per il 2020 che puntano a limitare il fenomeno sotto la barra del 10% e ad aumentare la quota di diplomati a più del 40%.

La situazione tra i 27 Paesi presenta tuttavia molte differenze. Mentre la media Ue per gli abbandoni scolari nel 2012 si è attestata al 12,8%, l’Italia segue con fatica col 17,6%, e il Belpaese è nettamente fuori media Ue (35,8%) in tema di diplomati (21,7%).

Nell’Unione europea il 36% di giovani tra i 30 ed i 34 anni ha concluso con successo il percorso universitario, il 2% in più rispetto al 2010 e l’8% in più rispetto al 2005, riferisce sempre Eurostat, ricordando che la strategia Europa 2020 prevede che quella percentuale salga al 40% di qui ai prossimi sette anni. Per ora la superano Gran Bretagna 47,1%, la Francia col 43,6% e la Spagna col 43,1%. La Polonia è vicina col 39,1%, mentre la Germania è al 31,9%. A guidare la classifica invece è l’Irlanda con il 51,1% di laureati in quella fascia d’età.

L’Italia, fra i 27, si colloca all’ultimo posto della classifica: nel 2012 appena il 21,7% di chi comincia l’università ha completato gli studi e si è laureato entro i 34 anni. Ci è riuscito il 26,3% delle donne e solo il 17,2% degli uomini.
Il dato italiano – in leggero miglioramento rispetto a 2010 e 2011 – è il peggiore dell’intera Ue, dove la media di chi compie il ciclo di istruzione terziaria è del 35,8%. La Romania, maglia nera nel 2010 col 18,1%, ci ha superati nel 2012 col 21.8%.

Italia. Lo Stato che esige le tasse e non paga i debiti

da Aduc – di Primo Mastrantoni

Come potremmo definire una persona che pretende da noi i crediti ma non paga i debiti? Strozzino no, perche’ l’usuraio almeno i soldi li presta.
Ladro no, perche’ il furfante ruba soltanto. Avremmo qualche definizione in mente ma lasciamo perdere. La circostanza riguarda lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni. Tutti attingono alle tasche degli italiani ma contestualmente sono restii ad onorare i propri impegni. Si parla di 70 miliardi di euro, cifra enorme che manda in tilt i bilanci delle imprese. Eppure c’e’ una direttiva europea, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno, che impone i pagamenti a 30/60 giorni.
I ritardi possono attivare un meccanismo perverso: le imprese, consapevoli dei differimenti, cercano soluzioni di rientro con il costo degli appalti, oppure possono ricorrere alle “lusinghe”, che sfociano nella corruzione che, secondo la Corte dei Conti, vale qualcosa come 60 miliardi. Ovvio che non si puo’ continuare in questo modo, strozzando le imprese e quindi l’economia nazionale. Per risolvere il problema lo Stato, le Regioni e gli enti locali dovrebbero vendere cio’ che hanno: gli immobili. Il ministero dell’Economia ne stima il valore in 400 miliardi. Bene ci si metta mano.