Le imprese bocciano la riforma Fornero: il POSTO FISSO scende ai minimi storici

forneroda Adico – di Filippo Santelli

Una riforma invocata dall’Europa. Che ha acceso lo scontro tra sindacati e industriali. Una priorità assoluta per il governo Monti. Ma una legge, la riforma del lavoro firmata Elsa Fornero, che a un anno esatto dall’entrata in vigore sembra avere ben pochi effetti. C’è meno precariato, questo sì, nella forma di contratti a collaborazione o intermittenti. Ma solo una piccola parte è diventata occupazione stabile. E l’apprendistato, strategico per l’Italia delle piccole e medie imprese artigianali, resta ancora al palo.

L’evoluzione dei contratti.

La crisi incide, e non poco: non si crea occupazione per legge, ancora meno in tempi di recessione. La riforma però, con l’obiettivo di contrastare la “flessibilità cattiva”, l’utilizzo fraudolento di contratti precari, ha introdotto ulteriore rigidità in entrata. È questo il punto su cui, fin dal primo giorno, gli imprenditori sono più critici. Delle 500 aziende intervistate da Gi Group sul tema, la metà sostiene che quando si tratta di assumere non sia cambiato nulla, un altro 40% che le cose siano più difficili e costose. Il decreto lavoro del ministro Giovannini, ora in discussione in Parlamento, ne prende atto: si accorcia lo stop forzato tra due contratti a tempo determinato, sparisce l’obbligo di inserire una causale al primo rinnovo, viene semplificato il ricorso al lavoro intermittente.

Una revisione che trova d’accordo anche i sindacati. Ma che rischia di tradire, avverte Bankitalia, uno degli obiettivi della riforma: incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. Anche su questo punto però gli effetti della Legge 93 sono ambivalenti. La sua approvazione ha subito fatto crollare il numero di contratti atipici. Il monitoraggio ufficiale dell’Isfol segnala nel secondo semestre del 2012 una caduta del lavoro parasubordinato (dall’8,2% al 6,7% sul totale degli avviamenti), e di quello intermittente (dall’8,5% al 4,4%). “Tornati su livelli fisiologici”, secondo l’istituto, dopo essere stati a lungo usati come alternative low cost all’assunzione. Già negli ultimi tre mesi dell’anno però il numero di contratti a tempo determinato era tornato a crescere, del 3,7%. E tra gennaio e marzo le collaborazioni a progetto avviate hanno riguadagnato quota 200mila.

Assestamento o ritorno del precariato? Il sondaggio di Gi Group, aggiornato a giugno, sembra far propendere per la seconda ipotesi. Considerato l’intero primo anno di regime Fornero infatti l’incidenza degli atipici sul totale degli assunti è la stessa del periodo precedente. “All’inizio c’è stato un effetto deterrenza, la legge era severa”, spiega il giuslavorista Armando Tursi, professore all’Università Statale di Milano. “Poi le imprese sono rimaste alla finestra, hanno visto che alcuni vincoli venivano alleggeriti: è possibile che una parte sia tornata alle vecchie pratiche”.

Lavoro sempre più “determinato”.

Di certo, non sono aumentati i contratti a tempo indeterminato. Scesi anzi sui minimi storici, il 17% degli assunti. Meno di un’azienda su quattro, tra quelle sentite da Gi Group, ha stabilizzato un dipendente precario, sfruttando gli incentivi previsti. “Molti atipici sono stati assunti a tempo determinato, contrattini di qualche mese, molti non sono stati rinnovati, parte addirittura passati a collaborazioni più precarie, come la partita Iva”, dice il professore. Ma il fallimento più grave, sostiene, è quello dell’apprendistato, che sarebbe dovuto diventare la strada maestra per l’inserimento dei giovani. Dopo la riforma il suo utilizzo è addirittura diminuito, appena 60mila contratti firmati nel primo trimestre del 2013: “Per le aziende è ancora un contratto con troppi vincoli, specie dal punto di vista formativo. Senza contare che ogni Regione ha norme diverse”.