GENITORI E … FELICI: QUANDO L’ETA’ FA LA DIFFERENZA

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Se ad oggi il differimento dell’età genitoriale, nei Paesi occidentali, è stato ascritto all’evoluzione sociale, in via direttamente proporzionale alla tardività della realizzazione lavorativa ed alle preoccupanti valutazioni economiche correlate, diversamente un nuovo studio scientifico ha evidenziato il migliore rapporto tra la scelta procreativa consapevole, la maturità anagrafica e la percezione di felicità.

“Happiness: Before and After the Kids” (http://www.demogr.mpg.de/papers/working/wp-2012-013.pdf) è, infatti, la ricerca dei due studiosi Mikko Myrskyla della London School of Economics e Rachel Margolis della Canada’s Western University, condotta unitamente al German Institute for Economic Research e finalizzata a comparare l’andamento della felicità individuale e di coppia, scegliendo a parametro la nascita di un figlio in relazione all’età genitoriale.

Sulla base dei raffronti tra i soggetti esaminati, – selezionati in Inghilterra ed in Germania e sottoposti ad osservazione nell’arco temporale di ben otto anni – , è stato verificato che “l’età giusta per diventare genitori è quella compresa tra i 35 e i 49 anni”: in particolare, –  ha spiegato la dott.ssa Margolis – , “più si va avanti con l’età, più la nascita di un bambino aumenta il benessere dei genitori”.

Nel rapporto, inoltre, si legge che “coloro che hanno bambini in età più avanzata e hanno un’alta disponibilità economica rispondono più positivamente alla nascita di un bambino rispetto alle coppie più giovani e con un livello d’istruzione inferiore” e che “i bambini fanno la felicità di mamma e papà, (…) ma soprattutto nelle coppie che aspettano a dare alla luce un figlio”.

Diversamente, “chi ha figli tra i 23 e i 34 anni vede scemare l’entusiasmo dopo uno o due anni dall’arrivo del bebè, chi ha un bambino tra i 18 e i 22 anni, invece, vede diminuire la propria felicità non appena diventa genitore”.

Inoltre, nelle coppie d’età compresa tra i 35 ed i 49 anni, “la sensazione di benessere e di pienezza è al massimo livello dopo la nascita del primo bambino e raddoppia dopo la nascita del secondo”, pur rimanendo suscettibile alle problematiche demografiche, all’eventuale avvento di un terzo figlio.

Gli studiosi, infatti, hanno puntualizzato che, in tal caso, la scelta consapevole non può ignorare il contesto economico d’accoglienza del nuovo nascituro, tanto più in quanto trascende la ‘novità’ dell’esperienza e prescinde la naturale profusione dell’amore genitoriale, indubbiamente trasversale a ciascuno dei tre campioni anagrafici.

Fonte: Huffington Post

29 ottobre 2014

Petula Brafa

Essere o avere? Alla ricerca della felicità

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In quale misura la crisi economica e la flessione degli acquisti di beni di consumo incidono sulla felicità individuale percepita? Un budget ridotto ci indurrà a scegliere tra il possesso di un oggetto od un’esperienza?

Questi i quesiti che hanno ispirato la ricerca di Thomas Gilovich e Matt Killigsworth, i cui esiti sono stati recentemente pubblicati negli Stati Uniti dalla rivista “Psychological Science”.

Dalle rilevazioni condotte da Gilovich, professore di psicologia dell’Università di Harvard e dal 2003 studioso degli stati umani in rapporto agli “acquisti esperienziali”, è emerso che vivere un’esperienza, – una vacanza, un viaggio, una mostra, uno spettacolo – , induca ad una felicità più intensa dell’emozione suscitata dal possedere un oggetto benché a lungo desiderato.

La ragione essenziale della gratificazione, infatti, non investirebbe direttamente né il desiderio del bene, preliminare e preparatorio al suo raggiungimento, né la sua detenzione, superata dalla persistenza della precedente o di una nuova richiesta di soddisfazione.

Diversamente, la felicità individuale si esplicherebbe non solo nella consumazione dell’esperienza in sé, ma soprattutto nella sua rinnovazione ed estensione per tutto il tempo della nostra esistenza, ovvero nella sua suscettibilità ad essere rivissuta nella memoria personale.

In breve, lo studio ha evidenziato la traslazione della scelta dal modello “essere/avere” alla individuazione della migliore destinazione di spesa, in termini di appagamento individuale ed anche di riflesso collettivo, dal momento che è stato dimostrato che i soggetti privilegianti gli acquisti esperienziali sono anche i più propensi a svolgere attività sociali.

Infine, a differenza del bene di consumo, l’esperienza gode dell’attribuzione della nostra più privata predilezione: se infatti la comparazione con altri oggetti quand’anche superiori potrà farci dubitare della soddisfazione procurata da quello ormai posseduto, la consapevolezza di quanto vissuto ne porrà al riparo il ricordo da ogni vano confronto.

(Fonte: La Stampa)

Petula Brafa