Rumori in condominio e sanzioni penali: siamo al ridicolo

da Aduc – di Alessandro Gallucci

Abbiamo gia’ parlato dei rumori in condominio o meglio delle conseguenze penali della attivita’ rumorose svolte da uno dei condomini nel proprio appartamento. La norma di riferimento e’ l’art. 659 c.p., che recita: “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, e’ punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309. Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorita’”. Si tratta di un reato di pericolo presunto. Insomma non si punisce perche’ c’e’ stato un danno ma perche’ potrebbe esserci pericolo del danno medesimo. Noi non siamo d’accordo con questa impostazione parafascista del diritto penale. Quando affrontammo quest’argomento ponemmo un esempio per spiegare l’assurdo di una norma che punisce un reato senza vittime a meno che non si voglia considerare la tranquillita’ pubblica una vittima. Ecco l’esempio E’ il giorno di ferragosto, la citta’ e’ vuota, nei palazzi restano poche, pochissime persone, alle volte anche un solo nucleo familiare. Le strade sono deserte, non c’e’ nessuno che passa, i parcheggi solitamente stracolmi sono completamente vuoti. Non c’e’ proprio nessuno. Tizio, amante della musica metal, approfittando dell’assenza dei suoi genitori e del palazzo vuoto, alle 15, quando tutti sono a mare, accende lo stereo a tutto volume e ascolta il suo gruppo preferito. Sfortuna vuole che proprio in quel momento passa vicino la sua casa una pattuglia che rileva l’infrazione e segnala il fatto alla procura della repubblica. Tizio, ragazzo di 20 anni, una persona pacifica, senza aver fatto del male a nessuno, senza aver effettivamente disturbato qualcuno, rischia una condanna per disturbo del riposo delle persone. E’ ancora necessario nel nostro codice penale un articolo del genere? Dura lex sed lex dicevano i romani. La fantasia dell’interprete, però, supera la realta’. Accade cosi’ che la citta’ sgombra del 15 di agosto risulti maggiormente tutelata rispetto ad un gruppo di condomini vessati dai rumori del vicino. No, non e’ una fandonia. Tenete a mente la n. 25225 resa dalla Cassazione penale lo scorso 25 giugno. Che cosa dice la Suprema Corte in questa sentenza? Esattamente, nel testo del provvedimento si legge che l’art. 659 c.p. “persegue finalita’ di preservare la quiete e la tranquillita’ pubblica ed i correlati diritti delle persone all’occupazione ed al riposo; e la giurisprudenza di legittimita’ e’ orientata nel senso di ritenere che elemento essenziale di detta contravvenzione sia l’idoneita’ del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone”. Nel caso di specie, dicono da piazza Cavour, ciò non s’e’ verificato in quanto dal processo e’ emerso “gli unici soggetti danneggiati dai rumori causati dai ricorrenti sono stati i cinque condomini occupanti la palazzina e che questi rumori sono rimasti circoscritti all’interno dello stabile, senza essersi mai propagati all’esterno”. Ai malcapitati resta la tutela civile. Come dovrebbe essere anche nel caso del disturbo della pubblica quiete. Morale della favola: se qualcuno ben individuabile e’ danneggiato, l’imputato e’ assolto; qualora, invece, ad essere danneggiati fosse un numero di persone indeterminabile anche se non identificabile, l’imputato sarebbe condannabile. Ma che razza di diritto penale e’ questo? Per quanto tempo vogliamo continuare a farci del male? Per chi volesse approfondire tutti gli aspetti inerenti la tutela civile, penale e amministrativa ed imparare a difendersi con consapevolezza dai rumori in condominio, suggerisco questo ebook di recemte pubblicazione: http://www.condominioweb.com/ebook/ebook_rumori_in_condominio.php

Norme a difesa degli animali. Guida pratica dell’Aduc

da Aduc

Gia’ dal 2004 il codice penale prevede delle pene e sanzioni pecuniarie per chi uccide o maltratta gli animali. La legge 201/2010 ha poi finalmente reso esecutiva la Convenzione di Strasburgo del 13/11/1987 inerente le norme di protezione degli animali domestici. La convenzione e’ entrata in vigore in Italia il 1/11/2011, dopo vari iter burocratici di ratifica. Questo il punto di partenza della scheda pratica dell’Aduc, redatta da Rita Sabelli, responsabile per l’associazione dell’aggiornamento normativo. Sostanzialmente un riassunto delle norme attualmente vigenti in Italia a difesa degli animali, norme a nostro parere ancora insufficienti, discriminanti ed eccessivamente derogabili e che speriamo presto vengano riconsiderate tenendo conto, tra l’altro, dei principi sanciti dall’Unione Europea che riportiamo:

“Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale.” (art.13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea” modificato dal Trattato di Lisbona del 13/12/2007 in vigore dal 1/12/2009). Su questo fronte stanno lottando molte associazioni animaliste, le cui iniziative possono essere seguite, e partecipate, informandosi (in primo luogo) e contattandole.
Qui il link alla scheda completa
A seguire i titoli dei vari capitoli: – PRIMO CHIARIMENTO: il concetto di animale “da compagnia” e di animale “domestico” – TENUTA DEGLI ANIMALI DOMESTICI – UCCISIONE O MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – ABBANDONO DI ANIMALI – UTILIZZO DI ANIMALI DOMESTICI AI FINI COMMERCIALI DI PELLI E PELLICCE – SPETTACOLI, MANIFESTAZIONI – TRAFFICO ILLECITO DI ANIMALI DOMESTICI – INTRODUZIONE ILLECITA DI ANIMALI DOMESTICI – INTERVENTI CHIRURGICI su animali domestici – COSA PUO’ FARE IL CITTADINO CHE RILEVA UNA VIOLAZIONE? – RIFERIMENTI NORMATIVI – Normative europee ratificate – LINK UTILI – Schede collegate: Convivere con un cane in citta’. Diritti, doveri e piaceri

Tributi. Impugnabilita’ dell’avviso bonario

da Aduc di Anna Jennifer Christiansen

La giurisprudenza affronta nuovamente la controversa questione della rilevanza da attribuire al cosiddetto ”avviso bonario” nella procedura di accertamento tributario. Tale avviso é considerato dal fisco come una comunicazione informale, senza natura impositiva nè effetti sostanziali per il contribuente, e quindi non impugnabile. L’Agenzia delle Entrate è più volte intervenuta chiarendo che gli avvisi bonari non contengono una pretesa tributaria definita, ma un mero invito al contribuente a risolvere in via preventiva le irregolarità rilevate (risoluzione n. 110/E del 22 ottobre 2010).

Esso viene inviato dall’amministrazione finanziaria –spesso per posta ordinaria e senza rispettare particolari formalitá di contenuto– quando, in sede di controllo automatico o di liquidazione dell’imposta dovuta, emergono errori o inesattezze nella dichiarazione dei redditi o nella dichiarazione Iva (artt. 36-bis e 36-ter Dpr. 600/1973 in materia di imposte sui redditi e art. 54-bis, Dpr. 633/1972 in materia di Iva). L’invio di questo avviso ha lo scopo di consentire al contribuente di: – presentare all’amministrazione finanziaria un’istanza di rettifica del controllo automatico o della liquidazione effettuata, corredandola della documentazione necessaria a dimostrare la correttezza di quanto dichiarato; – regolarizzare la propria posizione, pagando quanto richiesto nell’avviso entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dello stesso, ed evitando così l’emissione di un successivo avviso di accertamento o di una cartella esattoriale. Potrá in questo caso usufruire di una riduzione della sanzione prevista dall’articolo 13 D.lgs. 471/1997: anziché la sanzione intera, ossia il 30% dell’imposta ancora dovuta, pagherà rispettivamente il 10% di tale imposta in caso di ricezione di avviso conseguente a controllo automatico, ed il 20% in caso di avviso conseguente controllo formale finalizzato alla liquidazione.
Tale impostazione del fisco viene adesso, come già era avvenuto in passato, smentita dalla Corte di Cassazione, che l’11 maggio scorso (con sentenza n. 7344/2012) sancisce invece la diretta impugnabilità dell’avviso in questione, poiché, a suo avviso, esso porta ”comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”. Vi sarebbe pertanto interesse del destinatario a ricorrere alla Commissione Tributaria già contro la pretesa preventiva contenuta nell’avviso, per chiarire subito la propria posizione senza dover necessariamente attendere un avviso di accertamento o una cartella esattoriale, che come abbiamo visto sono sanzionate più gravemente. La Corte continua però dicendo che, in caso di successiva emissione di una cartella esattoriale, essa sostituirà integralmente la precedente pretesa del fisco, facendo pertanto venire meno l’interesse del ricorrente ad ottenere la pronuncia richiesta.
E’ evidente come questa sentenza sia suscettibile di creare nei contribuenti una notevole confusione sull’opportunità di attivarsi, in caso di ricevimento di futuri avvisi bonari. Questo ove l’Agenzia delle Entrate continui ad emetterli secondo l’attuale prassi applicativa, ossia: – senza osservare le formalità (relative sia al contenuto che alle modalità di notifica) imposte per gli atti propriamente impositivi, e – chiedendo fin da subito una somma determinata, anzichè richiedere al contribuente soltanto la produzione di un’integrazione documentale (in questo secondo caso mancherebbe la ”precisa pretesa impositiva”, e non sarebbe possibile ricorrere). L’impugnabilità dell’avviso di irregolarità comporta insomma un’elevata probabilità di moltiplicazione dei ricorsi, con conseguente rischio di intasamento del sistema di giustizia tributaria e della gestione dei preventivi reclami obbligatori nelle controversie di valore inferiore ai 20.000 euro.
Un’altra recente sentenza, questa della Commissione Tributaria Regionale Puglia, esclude inoltre che il problema possa risolversi alla fonte, omettendo del tutto la spedizione dell’avviso bonario nel caso in cui il contribuente replichi, con istanza di rettifica in autotutela, all’invito di chiarimento ricevuto dal fisco. La sentenza è la n. 9/10/12 e sancisce l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente la definitiva rideterminazione delle somme controverse, prima di poter procedere con l’iscrizione a ruolo per la riscossione.
Attendiamo pertanto le prossime direttive dell’Agenzia delle Entrate, sperando che possano chiarire la situazione, onde evitare una valanga di ricorsi presentati in via meramente prudenziale (per il timore di vedersi altrimenti respingere per inammissibilità il successivo ricorso contro la cartella), ma poi destinati ad estinguersi ogni qualvolta segua un atto propriamente impositivo che sostituisce l’avviso.

Clausole vessatorie abusive: nullità valida per chiunque. Corte Giustizia

Grazie ad una sentenza della Corte di Giustizia europea, ogni consumatore puo’ trarre beneficio dalla nullita’ di una clausola dopo un ricorso collettivo promosso da un’autorita’  a tutela dei consumatori. Si tratta di una sentenza sollecitata dall’autorita’ ungherese per la tutela dei consumatori contro l’operatore telefonico Invitel.

Quest’ultimo si era arrogato, senza spiegare nei particolari, il diritto di fatturare a posteriori i costi applicati per le fatture pagate tramite vaglia postale.

L’Autorita’ ungherese l’ha valutata come clausola abusiva ed aveva chiesto ai giudici l’intervento per il rimborso ai clienti di quanto indebitamente percepito. Il tribunale di Pest si e’ rivolto alla Corte Ue per chiedere se questa estensione a chiunque fosse legittima, e i giudici di Lussemburgo gli hanno dato ragione.

Venditori porta a porta: come devono comportarsi

Il porta a porta è una tecnica di vendita esistente da diverso tempo, ed ha raggiunto l’apice del successo negli anni ’90.
Oggi, però, è guardato con molta diffidenza da molti consumatori, forse perchè praticato da tante (troppe?) aziende con metodi a volta un po’ ambigui e sleali che in alcuni casi si rivelano pratiche commerciali ingannevoli, se non addirittura vere e proprie truffe a domicilio.

In questo settore, però, operano anche imprese serie che affidano il compito di promuovere la raccolta di ordinativi di acquisto ad incaricati corretti e rispettosi nei confronti di chi gentilmente apre la porta e ascolta le loro proposte commerciali.

C’è anche chi si è dotato di un codice etico per autodisciplinare la propria attività di vendita diretta nella maniera più trasparente e più rispettosa possibile dei diritti dei consumatori. Lo scopo è anche quello di mantenere una buona reputazione in termini di credibilità ed affidabilità.
Si tratta di Univendita, una giovane associazione di cui fanno parte alcune imprese di vendita a domicilio, tra le più famose ricordiamo Bofrost, Tupperware, Vorwerk (quella del folletto).

Vediamo le principali regole previste da questo codice di etico che è vincolante per tutte le imprese associate a Univendita.

L’art. 4, intitolato “Rapporti con i conumatori”, enuncia i principi generali che devono essere rispettati in ogni attività commerciale e promozionale, che sono quelli della correttezza e della trasparenza.

Gli articoli successivi stabiliscono che i venditori (c.d. incaricati alle vendite) devono:
– presentarsi alla porta dei consumatori in orari ragionevoli senza essere invadenti;
– comunicare le proprie generalità e il nome dell’impresa per cui operano ed esibire il tesserino di riconoscimento;
– presentare le principali caratteristiche dei prodotti offerti in maniera chiara e comprensibile, specificando il prezzo (comprensivo di imposte, spese di spedizione e quant’altro) ed informando il consumatore della possibilità di esercitare il diritto di recesso;
– illustrare il servizio di assistenza post-vendita e le eventuali garanzie commerciali, specificando che si aggiungo alla garanzia legale di due anni;
– interrompere la presentazione di vendita e lasciare l’abitazione del consumatore, in qualunque momento questi ne faccia espressa richiesta;
– dare il tempo sufficiente e necessario all’interlocutore per valutare attentamente l’offerta proposta, assicurandosi che abbia chiaro le relative caratteristiche ed i relativi obblighi;
rispondere in maniera precisa e comprensibile ad ogni domanda sul prodotto, evitando di ingannare l’interlocutore mediante omissioni, imprecisioni o ambiguità;
– consegnare copia del contratto sottoscritto dal consumatore.

Le aziende, da parte loro, devono:
– garantire che il trattamento dei dati personali del consumatore avvenga nel rispetto della normativa sulla privacy;
– evadere gli ordini in tempi congrui e, in caso di ritardi, impedimento o disguidi, avvisare tempestivamente il consumatore;
– fornire, insieme al prodotto acquistato, istruzioni precise e complete per l’uso scritte in lingua italiana ed in caratteri leggibili;
verificare che tutti i propri incaricati seguano le regole del codice etico e, in generale, rispettino i diritti dei consumatori nello svolgimento delle loro attività di vendita.

Si tratta di regole che le aziende e gli incaricati appartenenti a Univendita si impegnano a rispettare  e per l’inosservanza delle quali sono previste ammonizioni e sanzioni.
Invitiamo, pertanto, tutti coloro che ne verificassero l’inosservanza, a segnalarcelo, anche tramite questo blog, nonchè ad avvertire l’azienda interessata e la segreteria di Univendita.

Se il cane uccide, il padrone è un killer

da Adico

Se il cane toglie la vita a qualcuno il padrone è responsabile. A dirlo è una sentenza della Cassazione che fa ricadere le responsabilità degli atti di un animale direttamente sul padrone.
LESIONI E MORSI – La Quarta sezione penale con la sentenza 48429 ha dichiarato inammissibile il ricorso di G. M., 40enne pugliese, e, convalidando la condanna del padrone per duplice omicidio colposo stabilita per due casi di decesso causati dai suoi cani, ha fatto notare che «non può essere messo in discussione che la morte dei due uomini è riconducibile ai due cani di proprietà del ricorrente». A dimostrarlo «la presenza sul corpo delle vittime di plurime lesioni da morsi di cane in punti vitali e le concordi testimonianze delle persone, compresi i carabinieri intervenuti sul posto, che hanno assistito alla parte finale dell’aggressione, quando gli animali stavano ancora infierendo» sui due malcapitati.
ATTEGGIAMENTO AGGRESSIVO – Ma non è finita. Per la Suprema Corte, ha pesato «l’atteggiamento palesemente aggressivo tenuto dai cani quando, rifugiatisi nell’abitazione dell’imputato, dopo il fatto, manifestarono palese aggressività anche nei confronti di chiunque tentasse di avvicinarsi a loro, compreso il padrone». E a nulla è valso il tentativo dell’imputato di discolparsi dicendo che non poteva essere a lui attribuita la responsabilità della morte dei due uomini visto che nella notte ignoti avevano lasciato il cancello della sua villa aperto, favorendo così l’uscita dei due feroci cani. Insomma, conclude la Cassazione, «è accertata la colpa» di G.M., il padrone dei cani «per la mancata adozione delle cautele e sussistente il rapporto di causalità tra la sua condotta e l’evento verificatosi». Quanto al presunto tentativo di furto da parte di ignoti, la Suprema Corte si limita a rilevare che il proprietario dei cani, presentatosi dai carabinieri per denunciare la scomparsa dei cani, «non aveva fatto alcun cenno» del fatto.