Tassa di concessione governativa per cellulari ancora in vigore

da Investire Oggi

Chi ha vissuto l’epoca del debutto dei cellulari sul mercato italiano e internazionale ricorderà probabilmente che, all’acquisto di ogni ricarica, si pagava un’imposta odiosa, proporzionale all’importo della ricarica stessa, dovuta come l’equivalente della tassa di concessione governativa. Questa quota fissa di una tariffa a due parti è stata eliminata e ora, se si ricaricano 10 euro, sono effettivamente tutte di traffico telefonico, senza che venga aggiunto l’odioso contributo di ricarica.

Grazie alle convenienti offerte all inclusive di abbonamento proposte dagli operatori telefonici (nate per chi ha partita iva e poi estese anche agli utenti privati) peraltro molti clienti hanno abbandonato il sistema di ricarica optando per l’abbonamento mensile. Ebbene per gli abbonamenti la tassa di concessione governativa è ancora in vigore.

Per gli abbonamenti ancora in vigore

L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 9/E  è peraltro intervenuta sul punto rispondendo a un interpello inoltrato dall’Agenzia interregionale per il fiume Po e chiarendo che il Codice delle comunicazioni (d.lgs. 259/2003), che ha abrogato l’art. 318, non ha però intaccato l’obbligo di pagamento della tassa di concessione governativa per la telefonia mobile dovuto «per la licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio pubblico terrestre di telecomunicazioni (art. 318 DPR n. 156/1973 […]) per ogni mese di utenza» così come prevede l’art.21 della tariffa annessa al DPR n. 641/1972.

Ora si chiama Documento sostitutivo

Nonostante l’abrogazione dell’articolo de qua infatti resta salva la ratio che giustifica l’applicazione del tributo, ossia il rilascio del documento che attesta la condizione di abbonato dell’utente. Poco importa quindi se la «licenza» si chiami ora «documento sostitutivo», posto che la funzionalità è la stessa.

Non sono esenti dal tributo neppure le amministrazioni pubbliche non statali come peraltro già stabilito dalla risoluzione 55/2005 (anche se in merito vanno segnalate diversi ricorsi vinti da parte di Comuni italiani che hanno ottenuto il rimborso del tributo entro il termine di prescrizione di 3 anni a partire dalla domanda fissato dall’ art. 13 DPR n. 641 del 26/10/1972).

Una spia nei nostri smartphone

da Casa del Consumatore

Il caso è scoppiato già da qualche mese: un software “spione” installato di default negli smartphone di tutto il mondo.

Si chiama Carrier IQ e registra la posizione dei dispositivi tramite il GPS integrato, i messaggi di testo, i numeri chiamati, le immagini inviate, le ricerche effettuate sul web e quant’altro: insomma, traccia tutto ciò che fanno gli utenti e i loro spostamenti, poi invia questi dati “sensibili” ai produttori dei telefoni, ma anche ad alcuni operatori telefonici. Fortunatamente è possibile rimuoverlo…

Il software è stato scoperto da un giovane hacker americano che lo ha definito come un vero e proprio “rootkit”, cioè un programma creato per avere il controllo sul sistema operativo senza l’autorizzazione dell’utente (cfr. definizione su Wikipedia).

 

A quanto pare, i dispositivi più colpiti sono alcuni smartphone Android, Symbian Nokia, BlackBerry, iPhone con iOS, telefoni Samsung e HTC, per un totale di più di 150 milioni di dispositivi.

La notizia ha fatto subito scalpore, suscitando le reazioni di clienti e possessori di smartphone.
Il dibattito è acceso e vede contrapposti, da un lato, l’azienda che ha sviluppato il software, dall’altro, i produttori dei dispositivi e gli operatori telefonici.
La prima sostiene di averlo creato per un fine utile e legittimo consistente nel fornire informazioni sulla qualità del segnale, sullo stato della batteria e in generale sulle prestazioni dei dispositivi, in modo da consentire a produttori ed operatori di evitare malfunzionamenti e migliorare la qualità dei servizi da loro forniti alla clientela. Il tutto in maniera anonima e senza archiviare né trasmettere ad altri alcuna informazione personale.
I “cattivi” sarebbero, quindi, i produttori che ne farebbero un utilizzo distorto e scorretto, installandolo all’insaputa degli utenti, raccogliendo informazioni sensibili e in questo modo violando la loro privacy.
Nella vicenda pare sia coinvolta perfino l’FBI. Non è chiaro, però, se quest’ultima stia indagando sulla società che ha prodotto il software o se lo stia lei stessa utilizzando per carpire informazioni utili ad incastrare alcuni criminali.

Non sappiamo chi abbia ragione e chi torto, fatto sta che il rischio per gli utenti è quello di essere violati nella propria privacy senza neppure accorgersene.
Comunque, non bisogna allarmarsi: rimuovere il software dovrebbe essere un’operazione piuttosto semplice e rapida. Basta controllare le impostazioni sulla diagnostica, andando su “impostazioni” – “generali” – “info” – “diagnosi e uso”. Quindi verificare e selezionare “non inviare”.

Qualora i vostri dispositivi non vi permettessero di disinstallare il programma, vi preghiamo di segnalarcelo.
Nel frattempo, auspichiamo che tutte le aziende coinvolte si impegnino per eliminare Carrier IQ e qualunque altro software-spia dai loro prodotti.