Procedura d’infrazione sulla giustizia da parte dell Commissione Ue

giustiziada Aduc

Per la seconda volta in un mese, nel mirino è finita l’amministrazione della giustizia e l’attività dei magistrati del nostro Paese. Lo scorso 25 settembre l’Europa ha chiesto norme più rigorose sulla responsabilità dei giudici. Questa volta Bruxelles critica l’Italia perchè la Corte di Cassazione non applica il diritto europeo.
A dare vita a questa nuova procedura di infrazione è un caso giudiziario. Nel 1982 un imprenditore ha chiesto in giudizio il rimborso di una tassa legata a ispezioni veterinarie obbligatorie per prodotti importati in Italia. Quella tassa, secondo l’imprenditore, è in realtà un dazio illegittimo. Per ben due volte la Cassazione ha respinto la richiesta dell’imprenditore di rinviare il caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte di Cassazione in questo modo avrebbe violato il Trattato europeo. L’articolo 267, infatti, obbliga la Cassazione a rimettere gli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea per ottenere l’interpretazione di una norma di diritto europeo, laddove una parte ne faccia richiesta. Non si tratta di una semplice facoltà ma di un obbligo giuridico. La violazione di questo obbligo è causa diretta della durata eccessiva della vicenda giudiziaria vissuta dall’imprenditore, vicenda che si è trascinata per 31 anni. Se ci fosse stato il rinvio, i giudici italiani avrebbero compreso prima il contenuto della norma e sarebbero arrivati in tempi brevi ad una sentenza definitiva. Questa violazione ormai non può essere più sanata, dal momento che le richieste di rinvio presentate dall’imprenditore sono state ormai respinte. Non solo. Le decisioni già prese dalla Corte non possono essere modificate. La nuova procedura di infrazione ha come scopo adesso quello di verificare se le norme processuali italiane impediscono il rimborso alle imprese e ai cittadini di tasse che, secondo il diritto europeo sono illegittime.

Cassazione: stop alle multe per i clienti di prostitute in strada

prosda Agi

Stop alle multe per chi viene sorpreso in auto mentre si accosta a una prostituta che attende clienti sul marciapiede. La sesta sezione civile della Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza con cui il giudice di pace di Pescara aveva respinto il ricorso di un uomo che era stato sanzionato per aver violato l’ordinanza del sindaco di Montesilvano che proibiva di “fermarsi con autoveicolo in prossimita’ di esercente il meretricio sulla via pubblica”. Il giudice di pace aveva confermato la sanzione, riducendola della meta’ (da 500 a 250 euro).
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso dell’uomo sanzionato richiamando la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, che, nel 2011, ha dichiarato illegittima la norma contenuta nel ‘pacchetto sicurezza’ varato nel 2008 con cui venivano assegnati poteri straordinari ai sindaci per l’adozione di “provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilita’ ed urgenza”. La Consulta aveva sancito che tale disposizione violasse diversi articoli della Costituzione, perche’ non prevedeva “una qualunque delimitazione della discrezionalita’ amministrativa in un ambito, quello dell’imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di liberta’ dei consociati”, con la conseguenza che “gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci”. La Cassazione ha quindi inviato di nuovo gli atti al giudice di pace di Pescara, che dovra’ riesaminare il caso sulla base dei principi dettati dalla Corte Costituzionale.
“Spetta al giudice di merito – si legge nella sentenza degli ‘ermellini’ – il compito di valutare nuovamente la legittimita’ della disposizione posta a base della sanzione comunale, alla luce di principi sanciti dalla Corte Costituzionale in ordine ai poteri del sindaco in materia di sicurezza urbana”. Il giudice di pace “dovra’ quindi verificare – conclude la Cassazione – se l’ordinanza trovasse copertura normativa soltanto nella norma di legge dichiarata incostituzionale o fosse compatibile con il limitato potere in materia, abnormemente ampliato dal legislatore nel 2008”.

Incostituzionalita’ legge droga. Cassazione rinvia alla Corte

cannada Aduc

La Cassazione, 3a sezione, nell’udienza dello scorso 9 maggio, ha accolto la questione  di costituzionalità della legge che attualmente disciplina la droga (Fini-Giovanardi), inviandone il vaglio dei motivi  alla  Corte Costituzionale (il n° del provvedimento della sezione è il 1426 -2013 -000).
L’imputato è V. M., condannato in primo grado dal giudice Monocratico a Trento, dove era difeso dall’avv. Fabio Valcanover, con sentenza  dd 17.3.2010
L’ordinanza non é stata ancora depositata.
E’ la prima Corte di legittimità che si pronunzia affermando la non manifesta infondatezza; affermazione che costituisce una clausola di stile ancorchè con rilevanza giuridica.
E’ significativo che la Cassazione, letta l’argomentazione scritta (curata dallo stesso avvocato Valcanover) a sostegno della illeggittimità costituzionale, abbia deciso la non manifesta infondatezza della stessa.

RISPARMIO: LA CASSAZIONE CONFERMA. LE BANCHE DEVONO RIMBORSARE I RISPARMIATORI PER GLI INVESTIMENTI RISCHIOSI

da Codacons

ORA PIU’ FACILI LE AZIONI VERSO GLI ISTITUTI DI CREDITO CHE HANNO VENDUTO TITOLI SPAZZATURA
CHI POSSIEDE TITOLI PARMALAT, CIRIO, ARGENTINA, ALITALIA, LEHMAN  BROTHERS E TITOLI GRECIA PUO’ AGIRE PER RIAVERE INDIETRO I SOLDI PERDUTI

Con una clamorosa sentenza depositata pochi giorni fa, la Corte di Cassazione ha confermato l’obbligo per le banche di rimborsare i risparmiatori ai quali sono stati veduti titoli ad elevato rischio. Con la sentenza n. 6142 la Terza sezione civile della Cassazione ha ribadito la decisione della Corte d’appello di Genova che condannava un istituto di credito a risarcire due risparmiatori che avevano investito 169.000 euro in bond Argentina. I giudici hanno riconosciuto la consapevolezza da parte delle banche in merito all’imminenza del default  Argentina, e la mancata trasparenza da parte dell’istituto di credito che aveva omesso di informare i due clienti circa la rischiosità dell’investimento. A nulla sono valse le tesi difensive della banca, secondo cui i risparmiatori avevano firmato un modulo nel quale si accettavano espressamente le condizioni di investimento; per la Cassazione la dichiarazione resa dal cliente su un modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto «in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo di investitore, non costituisce dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo». Questa sentenza è molto importante, perché chiarisce in modo definitivo le responsabilità delle banche nella vendita di titoli spazzatura, e facilita le richieste risarcitorie degli investitori – spiega il Codacons – Tutti i cittadini che hanno investito i propri risparmi in azioni e obbligazioni Cirio, Parmalat, Lehman Brothers, Argentina, e titoli Greci, possono agire attraverso l’associazione per riavere indietro i soldi perduti, seguendo le indicazioni riportate sul sito www.codacons.it Per quanto riguarda i possessori di titoli Alitalia – spiega il Codacons – costoro possono inserirsi nel processo in corso a Roma al fine di ottenere il rimborso dei propri investimenti. Già 500 risparmiatori rappresentati dall’associazione sono stati ammessi come parte civile all’interno del processo, e potranno veder soddisfatte le proprie pretese economiche.

La TIA e’ un tributo e non puo’ essere gravato di Iva. Cassazione. Esigere i rimborsi

da Aduc

La Tia1 è un tributo e non è soggetto ad Iva. Non rileva la qualificazione patrimoniale della Tia2, poiché si tratta di due prelievi formalmente distinti. Così la Corte di Cassazione, con sentenza 3756 depositata il 9/3/2012 sull’applicazione dell’Iva sulla tariffa rifiuti in relazione all’articolo 49, del decreto legislativo 22/97 (Tia1).
La sentenza va contro la prassi amministrativa del dipartimento delle Politiche fiscali, che con la circolare 3/2010 aveva ravvisato continuità tra Tia1 e Tia2 (articolo 238, dl 152/06) sì che la Tia1 sarebbe un’entrata patrimoniale, e quindi soggetta ad Iva.
In virtu’ di questo i gestori del servizio rifiuti avevano addebitato l’imposta agli utenti.
La sentenza 238/09 della Corte Costituzionale, pero’, aveva invece dichiarato la natura tributaria della Tia1, ravvisando continuità tra Tariffa e Tarsu, Ma la medesima pronuncia della Corte precisava, in mancanza
dello specifico regolamento attuativo, di non poter prendere posizione sulla Tia2.
La sentenza consenti’ l’avvio di rimborsi da parte degli utenti.
In seguito, con l’articolo 14, comma 33 del Dl 78/2010, si è stabilito che la tariffa è un’entrata patrimoniale e dunque soggetta a Iva, ma questo (per un errore del legislatore?) per la Tia2 e non per la Tia1. E’ quindi intervenuto il dipartimento delle Politiche fiscali che, con la circolare 3/2010, diceva che la Tia2 può essere applicata sulla base dei criteri stabiliti nel Dpr 158/99 su cui si fonda la Tia1. Per cui Tia1 e Tia2 sono entrambe considerate entrate patrimoniali, e quindi soggette ad Iva.
Per la sentenza di ieri della Cassazione le conclusioni delle Finanze “sono frutto di una forzatura logica del tutto inaccettabile”: non si vede come la successione logico-giuridica di due entrate possa generare in automatico l’identità della loro natura.
La sentenza ha pertanto rilevato che la Tia1 e’ un’entrata tributaria.
Per questo i rimborsi possono essere chiesti al proprio gestore del servizio rifiuti tramite raccomandata A/R di messa in mora.

Se il cane uccide, il padrone è un killer

da Adico

Se il cane toglie la vita a qualcuno il padrone è responsabile. A dirlo è una sentenza della Cassazione che fa ricadere le responsabilità degli atti di un animale direttamente sul padrone.
LESIONI E MORSI – La Quarta sezione penale con la sentenza 48429 ha dichiarato inammissibile il ricorso di G. M., 40enne pugliese, e, convalidando la condanna del padrone per duplice omicidio colposo stabilita per due casi di decesso causati dai suoi cani, ha fatto notare che «non può essere messo in discussione che la morte dei due uomini è riconducibile ai due cani di proprietà del ricorrente». A dimostrarlo «la presenza sul corpo delle vittime di plurime lesioni da morsi di cane in punti vitali e le concordi testimonianze delle persone, compresi i carabinieri intervenuti sul posto, che hanno assistito alla parte finale dell’aggressione, quando gli animali stavano ancora infierendo» sui due malcapitati.
ATTEGGIAMENTO AGGRESSIVO – Ma non è finita. Per la Suprema Corte, ha pesato «l’atteggiamento palesemente aggressivo tenuto dai cani quando, rifugiatisi nell’abitazione dell’imputato, dopo il fatto, manifestarono palese aggressività anche nei confronti di chiunque tentasse di avvicinarsi a loro, compreso il padrone». E a nulla è valso il tentativo dell’imputato di discolparsi dicendo che non poteva essere a lui attribuita la responsabilità della morte dei due uomini visto che nella notte ignoti avevano lasciato il cancello della sua villa aperto, favorendo così l’uscita dei due feroci cani. Insomma, conclude la Cassazione, «è accertata la colpa» di G.M., il padrone dei cani «per la mancata adozione delle cautele e sussistente il rapporto di causalità tra la sua condotta e l’evento verificatosi». Quanto al presunto tentativo di furto da parte di ignoti, la Suprema Corte si limita a rilevare che il proprietario dei cani, presentatosi dai carabinieri per denunciare la scomparsa dei cani, «non aveva fatto alcun cenno» del fatto.