Bollo auto 2008, avvisi di accertamento arrivati prescritti Adico alla Regione Veneto: «Si vada a conguaglio per gli altri anni»

da Adico

La stragrande maggioranza degli avvisi di accertamento spediti dalla Regione per il ritardato pagamento del bollo auto 2008 è arrivata ai cittadini già prescritta. E quindi gli automobilisti, se se ne fossero resi conto, avrebbero potuto chiederne l’annullamento entro 60 giorni dalla data di notifica. È questa la posizione di Adico Associazione Difesa Consumatori sulla vicenda delle scadenze del bollo auto “regolarizzate” dalla Regione Veneto, con la conseguenza che migliaia di cittadini si sono ritrovati a essere morosi nonostante avessero sempre pagato regolarmente e puntualmente – stando alle scadenze in loro possesso – la tassa automobilistica.

 

«Il nostro ufficio legale ha studiato in modo approfondito la questione – spiega Carlo Garofolini, presidente di Adico Associazione Difesa Consumatori – la Regione può esercitare il diritto di recupero delle tasse automobilistiche entro il terzo anno successivo a quello in cui doveva effettuarsi il pagamento: trattandosi del bollo 2008, la prescrizione scattava dopo il 31 dicembre 2011, intesa come data ultima in cui l’accertamento o la cartella dovevano pervenire nella disponibilità del destinatario dell’atto, quindi come data di ricezione della notifica, non di spedizione da parte della pubblica amministrazione».

Gli avvisi di accertamento sono stati spediti dalla Regione Veneto il 21 dicembre 2011, quindi quasi al termine del periodo utile perché l’avviso di accertamento risultasse valido: e proprio per la presenza delle festività, moltissime raccomandate (secondo Adico si tratterebbe della stragrande maggioranza) sono arrivate a destinazione solo nei primi giorni del 2012. «Sottolineiamo come sia tutt’altro che facile, in questi casi, risalire alla data di notifica – continua il presidente Garofolini – tanti cittadini infatti ci hanno segnalato come, sulla busta contenente l’avviso della Regione, non ci fosse il timbro postale. Ma ipotizzando la data di spedizione della comunicazione, attraverso il servizio “DoveQuando” sul sito web di Poste Italiane si può recuperare la data di consegna al portalettere». Il timbro postale manca perché la Regione ha notificato gli avvisi a mezzo di raccomandata A/R in modalità massiva, quindi senza materiale affrancatura. In due casi portati da altrettanti cittadini all’attenzione di Adico, la data di notifica risulta essere rispettivamente il 3 gennaio e il 5 gennaio 2012.

Perché quindi i cittadini che hanno ricevuto l’avviso di accertamento oltre i termini di prescrizione, non hanno fatto tentato la strada della richiesta di annullamento? «Molto semplice: perché non sapevano di questa possibilità – sostiene ancora Garofolini – ci sono 60 giorni dalla data di notifica dell’atto per chiedere l’annullamento in autotutela. Purtroppo per chi ha pagato non c’è molto da fare: coerentemente con la nostra posizione, però, chiediamo alla Regione di venire incontro a queste persone, magari andando a conguaglio con quanto verrà chiesto per gli anni successivi al 2008».

Il consiglio che Adico dà agli automobilisti, quindi, è doppio: da una parte, se per caso qualcuno avesse ricevuto l’avviso più recentemente, che ne chieda l’annullamento entro 60 giorni dalla notifica. Per tutti gli altri, invece, l’importante è tutelarsi per gli anni successivi al 2008: «Riteniamo sia difficile che la Regione faccia recapitare in ritardo anche gli avvisi relativi al 2009, quindi meglio procedere con il ravvedimento operoso». Chi ha pagato sempre in mesi diversi da gennaio, dovrà infatti pagare la sanzione anche per il 2009, 2010 e 2011: ma se si “ammette l’errore” prima della notifica dell’avviso di accertamento, si paga solo il 10% della sanzione (che è pari al 30% dell’importo della tassa). Gli uffici di Adico sono a disposizione per fornire informazioni e assistenza in merito: di persona allo sportello di via Volturno 33 a Mestre, all’indirizzo mail info@associazionedifesaconsumatori.it o al numero di telefono 041.5349637.

Tributi. Impugnabilita’ dell’avviso bonario

da Aduc di Anna Jennifer Christiansen

La giurisprudenza affronta nuovamente la controversa questione della rilevanza da attribuire al cosiddetto ”avviso bonario” nella procedura di accertamento tributario. Tale avviso é considerato dal fisco come una comunicazione informale, senza natura impositiva nè effetti sostanziali per il contribuente, e quindi non impugnabile. L’Agenzia delle Entrate è più volte intervenuta chiarendo che gli avvisi bonari non contengono una pretesa tributaria definita, ma un mero invito al contribuente a risolvere in via preventiva le irregolarità rilevate (risoluzione n. 110/E del 22 ottobre 2010).

Esso viene inviato dall’amministrazione finanziaria –spesso per posta ordinaria e senza rispettare particolari formalitá di contenuto– quando, in sede di controllo automatico o di liquidazione dell’imposta dovuta, emergono errori o inesattezze nella dichiarazione dei redditi o nella dichiarazione Iva (artt. 36-bis e 36-ter Dpr. 600/1973 in materia di imposte sui redditi e art. 54-bis, Dpr. 633/1972 in materia di Iva). L’invio di questo avviso ha lo scopo di consentire al contribuente di: – presentare all’amministrazione finanziaria un’istanza di rettifica del controllo automatico o della liquidazione effettuata, corredandola della documentazione necessaria a dimostrare la correttezza di quanto dichiarato; – regolarizzare la propria posizione, pagando quanto richiesto nell’avviso entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dello stesso, ed evitando così l’emissione di un successivo avviso di accertamento o di una cartella esattoriale. Potrá in questo caso usufruire di una riduzione della sanzione prevista dall’articolo 13 D.lgs. 471/1997: anziché la sanzione intera, ossia il 30% dell’imposta ancora dovuta, pagherà rispettivamente il 10% di tale imposta in caso di ricezione di avviso conseguente a controllo automatico, ed il 20% in caso di avviso conseguente controllo formale finalizzato alla liquidazione.
Tale impostazione del fisco viene adesso, come già era avvenuto in passato, smentita dalla Corte di Cassazione, che l’11 maggio scorso (con sentenza n. 7344/2012) sancisce invece la diretta impugnabilità dell’avviso in questione, poiché, a suo avviso, esso porta ”comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”. Vi sarebbe pertanto interesse del destinatario a ricorrere alla Commissione Tributaria già contro la pretesa preventiva contenuta nell’avviso, per chiarire subito la propria posizione senza dover necessariamente attendere un avviso di accertamento o una cartella esattoriale, che come abbiamo visto sono sanzionate più gravemente. La Corte continua però dicendo che, in caso di successiva emissione di una cartella esattoriale, essa sostituirà integralmente la precedente pretesa del fisco, facendo pertanto venire meno l’interesse del ricorrente ad ottenere la pronuncia richiesta.
E’ evidente come questa sentenza sia suscettibile di creare nei contribuenti una notevole confusione sull’opportunità di attivarsi, in caso di ricevimento di futuri avvisi bonari. Questo ove l’Agenzia delle Entrate continui ad emetterli secondo l’attuale prassi applicativa, ossia: – senza osservare le formalità (relative sia al contenuto che alle modalità di notifica) imposte per gli atti propriamente impositivi, e – chiedendo fin da subito una somma determinata, anzichè richiedere al contribuente soltanto la produzione di un’integrazione documentale (in questo secondo caso mancherebbe la ”precisa pretesa impositiva”, e non sarebbe possibile ricorrere). L’impugnabilità dell’avviso di irregolarità comporta insomma un’elevata probabilità di moltiplicazione dei ricorsi, con conseguente rischio di intasamento del sistema di giustizia tributaria e della gestione dei preventivi reclami obbligatori nelle controversie di valore inferiore ai 20.000 euro.
Un’altra recente sentenza, questa della Commissione Tributaria Regionale Puglia, esclude inoltre che il problema possa risolversi alla fonte, omettendo del tutto la spedizione dell’avviso bonario nel caso in cui il contribuente replichi, con istanza di rettifica in autotutela, all’invito di chiarimento ricevuto dal fisco. La sentenza è la n. 9/10/12 e sancisce l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente la definitiva rideterminazione delle somme controverse, prima di poter procedere con l’iscrizione a ruolo per la riscossione.
Attendiamo pertanto le prossime direttive dell’Agenzia delle Entrate, sperando che possano chiarire la situazione, onde evitare una valanga di ricorsi presentati in via meramente prudenziale (per il timore di vedersi altrimenti respingere per inammissibilità il successivo ricorso contro la cartella), ma poi destinati ad estinguersi ogni qualvolta segua un atto propriamente impositivo che sostituisce l’avviso.