Tumori: Lilt, in 15 anni tasso guarigione dal 40% al 61%

Un grande traguardo è stato raggiunto, in soli 15 anni, nella lotta contro i tumori: il tasso di guaribilità è passato dal 40% al 61% attuale. Un risultato ”enorme”, ha affermato oggi il presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt), Francesco Schittulli, presentando la XV edizione della Settimana nazionale per la prevenzione oncologica, dal 13 al 21 marzo.

”Un risultato – ha spiegato Schittulli – che è stato reso possibile grazie anche alla prevenzione, con la promozione di corretti stili di vita, sana alimentazione, che vede l’olio extravergine di oliva uno dei protagonisti principali, attività sportiva e diagnosi precoce”. Fondamentale è però la Ricerca: ”Nel 2015 – ha ricordato Schittulli – la Lilt ha destinato 950mila euro, ottenuti dal 5 per mille degli italiani, a 13 progetti”. ‘La mia ricetta della salute? La prevenzione! Mangio sano, faccio sport, non fumo e non bevo alcolici‘ è lo slogan della Settimana Nazionale con l’obiettivo di informare la popolazione sull’importanza della prevenzione anche contro i tumori. Fondamentale, afferma la Lilt, è proprio la giusta alimentazione. Solo in Italia, ricorda Schittulli, ”tra 15 anni, il 20% della popolazione maschile e il 15% di quella femminile sarà obesa, ed oggi un bambino su 10 con meno di 5 anni risulta obeso. E’ opportuno, dunque, educare i più giovani su quanto sia fondamentale condurre una vita regolare e mangiare bene. Per questo la Lilt è impegnata nelle scuole, con il ministero dell’Istruzione, con progetti di educazione ai corretti stili di vita”. Ed in questo senso, ricorda la Lega ‘regina della prevenzione’ e’ la Dieta mediterranea, ricca di frutta fresca, di verdura e povera di grassi. Testimonial della campagna di sensibilizzazione è la cantante Anna Tatangelo. Dal 13 al 21 marzo, dunque, nelle principali piazze d’Italia e nelle Sezioni Lilt, con un piccolo contributo si potrà contribuire a rafforzare le attività della Lega e ricevere, oltre ad una bottiglia di olio extra vergine di oliva, un opuscolo ricco di informazioni e con ‘le ricette della salute’ dello Chef stellato Heinz Beck. In tutta Italia, inoltre, gli ambulatori Lilt accoglieranno i cittadini con medici, specialisti e volontari.

fonte Ansa

Alzheimer, insulina direttamente al cervello con nanoparticelle spray

Un “nanogel” capace di trasportare l’insulina direttamente al cervello e agire così da terapia per l’Alzheimer senza gli effetti collaterali connessi all’assunzione periferica. E’ questa la scoperta fatta dall’Istituto di biomedicina ed immunologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibim-Cnr) di Palermo e pubblicata sulla rivista Biomaterials.

Il nesso tra insulina e Alzheimer. L’attenzione all’insulina nella ricerca sulla malattia neurodegenerativa non è nuova. Analogamente a quanto accade ai diabetici, i pazienti affetti dal morbo di Alzheimer – conosciuto anche come ‘Diabete di tipo 3’ – sviluppano una resistenza all’insulina cerebrale e dunque una condizione considerata fattore di rischio per lo sviluppo della malattia. L’ormone, indotto come terapia sperimentale, è in grado di migliorare le facoltà cognitive in soggetti con l’Alzheimer, inibendo la neuro-degenerazione.

Un nanogel che arriva al cervello. La ricerca coordinata dall’Ibim-Cnr di Palermo ha permesso di realizzare delle nanoparticelle polimeriche (nanogels) in grado di trasportare l’insulina direttamente al cervello, evitando così gli effetti collaterali delle terapie ordinarie. “La consueta somministrazione periferica di insulina, utilizzata nella terapia diabetica, è un rischio per l’insorgenza e l’aumento d’ipoglicemia e resistenza all’insulina” spiega Marta Di Carlo dell’Ibim-Cnr. “Abbiamo quindi creato dei nanogels capaci di incorporare, proteggere e veicolare l’insulina direttamente al cervello (NG-In)”.

Lo spray nasale. Il team di ricerca, che si è avvalso anche della collaborazione dell’Istituto di biofisica del Cnr (Ibf-Cnr) e di alcuni Dipartimenti dell’Università di Palermo, ha prodotto questo nanosistema per la preparazione di uno spray intranasale. “Questa somministrazione è una strategia alternativa per superare la barriera emato encefalica (Bee) ed arrivare più velocemente al cervello, tramite la mucosa olfattoria e bypassando la periferia, dove potrebbe produrre effetti indesiderati” prosegue la ricercatrice. Secondo gli studiosi, NG-In è un promettente candidato per lo sviluppo di una terapia innovativa per l’Alzheimer.

Gli effetti neuroprotettivi. “I nanogels, piccolissime particelle polimeriche reticolate idrofile, sono stati prodotti attraverso un processo innovativo che fa ricorso alle radiazioni ionizzanti create da un acceleratore di elettroni, comunemente utilizzate per la sterilizzazione industriale di dispositivi biomedicali” spiega ancora Marta Di Carlo. “Gli effetti neuroprotettivi di NG-In sono stati verificati sulla capacità di inibire i diversi meccanismi neurodegenerativi (stress ossidativo, disfunzione mitocondriale, morte cellulare) indotti da Abeta, un peptide coinvolto nell’Alzheimer”.

Il ruolo dell’Igf-I. Un’altra ricerca condotta presso l’Università del Michigan e pubblicata di recente su Stem Cells Translational Medicine potrebbe invece rivoluzionare il modo in cui è trattato l’Alzheimer e persino fermarne l’insorgenza. I ricercatori hanno aumentato di circa 50 volte i livelli del fattore di crescita insulino-simile (IGF-I), una proteina che entra in gioco nei processi di proliferazione, migrazione e differenziazione cellulare. Si è visto che con l’aumento dell’Igf-I in una linea di cellule staminali neuronali queste hanno iniziato a produrre cellule cerebrali che sono risultate resistenti all’Alzheimer e persino in grado di riparare le cellule danneggiate dalla malattia. L’Igf-I blocca anche la perdita delle cellule del cervello e ha effetti anti-infiammatori. Inoltre, livelli ridotti di IGF-I sono associati al declino cognitivo. Al contrario, l’aumento di IGF-I nell’ippocampo (l’area del cervello dalla quale dipendono memoria e apprendimento) impedisce deficit cognitivi.

Trapianto di staminali neuronali. “Il trapianto di cellule staminali neuronali rappresenta un nuovo approccio interessante per il trattamento dell’Alzheimer” ha detto la ricercatrice Eva Feldman che ha guidato i suoi colleghi dei dipartimenti di neurologia e neurochirurgia. “Le cellule staminali neuronali hanno una capacità di auto-rinnovamento a lungo termine, il potenziale di differenziarsi in vari tipi di cellule neuronali e la capacità di fornire una fonte illimitata di cellule per la medicina rigenerativa”. Il trapianto di staminali neuronali si è già dimostrato efficace nel migliorare le funzioni del cervello e quelle motorie dopo l’ictus, il morbo di Parkinson e la SLA. Secondo i ricercatori, questi stessi risultati positivi si possono ottenere anche per l’Alzheimer. In effetti, recenti ricerche indicano che quando le cellule neuronali umane vengono trapiantate nel cervello di topi con Alzheimer, dopo dieci settimane la cognizione degli animali migliora così come il tasso di sopravvivenza dei neuroni e la funzione delle sinapsi.

fonte La Repubblica

Non solo il fegato soffre di epatite C

L’epatite da virus C non è solo una malattia del fegato. È vero che il virus Hcv aggredisce quest’organo e può provocare una malattia cronica epatica, fibrosi e persino un tumore, l’epatocarcinoma, ma la sua permanenza nell’organismo fa ben altro: crea infiammazione, che compromette altri sistemi e favorisce la comparsa di altre patologie. Ecco perché si dovrebbe parlare di malattia da virus C. Una visione nuova, di cui si è parlato a Boston in occasione della Croi (Conference on retrovirus and opportunistic infections). Spiega Giuliano Rizzardini responsabile della I Divisione di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano: «Tre pazienti su quattro, con un’infezione cronica da virus C, possono andare incontro a una serie di complicanze come crioglobulinemia (la presenza di proteine anomale nel sangue che possono provocare danni ai piccoli vasi, ndr), linfomi, diabete, problemi cardiovascolari o danni renali più facilmente rispetto a chi non ce l’ha. Eliminando il prima possibile il virus, si possono anche prevenire o controllare queste situazioni».

Le complicanze al rene

A partire dalle complicanze per il rene: oggi le formulazioni più innovative di farmaci antivirali, come il cosiddetto schema 3D (che comprende tre nuove molecole: ombitasvir, paritaprevir e dasabuvir, associati al ritonavir, che aumenta la risposta del sistema immunitario al virus) possono fare a meno della ribavirina, che presenta una nota tossicità renale (è in corso la modifica del foglietto illustrativo da parte dell’ Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci). E questo è già un vantaggio perché protegge il rene e impedisce la comparsa di anemie. Ma il problema principale è curare precocemente questi malati, proprio per evitare complicanze, e, possibilmente, con combinazioni di farmaci che impediscano lo sviluppo di resistenze da parte del virus.

Farmaci senza effetti collaterali

A tutt’oggi l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha previsto di trattare in Italia, a partire dal gennaio 2015, una prima tranche di 50 mila pazienti, quelli più gravi, con fibrosi del fegato e cirrosi, e persone che hanno subito trapianti (non di fegato, ma di altri organi o di midollo osseo). Ma adesso la comunità scientifica preme, e fa notare come un trattamento precoce, già nelle fasi iniziali della malattia, può rappresentare un vantaggio per il paziente e anche un risparmio economico, sulla lunga distanza, per il Sistema Sanitario Nazionale. Conferma Andrea Gori, infettivologo all’Ospedale San Gerardo di Monza e all’Università Milano Bicocca: «Pazienti con epatite C e con alterazioni degli zuccheri del sangue (anticamera del diabete, ndr), se trattati con farmaci antivirali, mostrano un miglioramento impressionante di tutti i parametri metabolici». E questo è solo un esempio. Oggi esistono farmaci non solo efficaci contro il virus C, ma anche relativamente privi di effetti collaterali (la durata delle terapie varia da 3 a 6 mesi, per una cura completa in oltre il 90 per cento dei casi), che permettono di trattare subito i malati, senza aspettare, come in passato, che la malattia progredisca.

Il problema dei costi

Il problema è quello dei costi, ma anche della performance dei farmaci stessi. «Chi si occupa di spesa sanitaria pubblica — commenta Massimo Andreoni professore di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata — deve considerare il prezzo dei nuovi anti-epatite C, ma deve tenere conto anche del peso, in termini economici, delle malattie correlate all’infezione da Hcv». Non solo, ma occorre considerare anche il rischio di trasmissione dell’infezione. «Una persona guarita — precisa Carlo Federico Perno virologo all’Ospedale Spallanzani di Roma — non infetta gli altri». Ultima considerazione come ha sottolineato a Boston Mark Sulkowoski della Johns Hopkins University di Baltimora: «Il trattamento anti-Hcv è complesso perché il virus muta e replica in tempi rapidi. Ecco perché le formulazioni di farmaci devono essere capaci di aggredirlo in più punti contemporaneamente».

fonte Il Corriere della sera

Le notizie arrivano in chat: le news si leggeranno via Messenger

«C’è una notizia per te». Lo squillo di una notifica sulla propria chat a breve potrà annunciare non solo l’arrivo di un messaggio ma anche quello di un articolo da leggere. A tentare questa nuova strada nell’editoria digitale potrebbe essere Messenger, il servizio di messaggistica di proprietà di Facebook. Un percorso già imboccato da Snapchat, chat molto popolare tra i giovanissimi, che ha stretto un accordo di recente con il Wall Street Journal.

L’indiscrezione arriva da Marketing Land e fa parte del piano della società di Mark Zuckerberg di far diventare Messenger, che oramai ha un pacchetto di 800 milioni di utenti, un universo separato dal social network e comprensivo di più opzioni. Secondo il sito, Facebook sarebbe al lavoro su un software che permette agli sviluppatori di creare una “chatbot”, cioè un programma che genera contenuti in automatico, all’interno di Messenger. E i primi a testare questa novità sarebbero proprio gli editori. Il servizio potrebbe funzionare in questo modo: gli utenti ricevono su Messenger la notifica di una notizia in breve, un link rimanda all’articolo completo sul sito della testata giornalistica. Oltre ad un nuovo modo di distribuire le news, la mossa apre nuovi spiragli ai guadagni sulla pubblicità. Il lancio ufficiale delle notizie su Messenger potrebbe avvenire alla prossima conferenza degli sviluppatori del social network (F8) che si terrà a metà aprile.

Lo scorso anno Facebook alla F8 annunciò proprio l’espansione della chat che ora ospita più di 40 applicazioni, permette gli acquisti online, lo scambio di soldi e anche le videochiamate come Skype. Secondo le indiscrezioni, ci sarebbe già una lista di editori pronti ad approfittare dell’iniziativa sin da aprile, tra questi Build. Del resto Facebook, divenuta oramai una gigantesca edicola, ha già una base di accordi stretti con la stampa per il servizio ‘Instant Articles’. È una specie di vetrina digitale che consente agli utenti di leggere gli articoli di una testata, in forma multimediale e interattiva, direttamente all’interno del social network. È attiva anche in Italia e dopo una fase di rodaggio con alcuni grandi gruppi, da metà aprile sarà disponibile per tutti gli editori indipendentemente dalle dimensioni e dalla nazionalità.

L’idea di Facebook di distribuire le notizie via chat, però, non è proprio originale. La sta già percorrendo Snapchat, l’app di messaggi che si auto-cancellano molto popolare tra i giovanissimi. Ad avere un canale di comunicazione privilegiato con i teenager ci sono circa venti realtà editoriali tra cui il Daily Mail e il Wall Street Journal. E anche la Casa Bianca è sbarcata sull’applicazione che conta 100 milioni di utenti attivi al giorno e che ha raggiunto Facebook nella visualizzazione dei video: 8 miliardi visti ogni giorno.

fonte Il Messaggero

In cambio dell’esercizio fisico un Apple Watch a 25 dollari

Un Apple Watch ad appena 25 dollari, circa 23 euro, potrebbe essere un ottimo incentivo per tenersi in forma. Ne è convinta Vitality, una società statunitense, che fornisce servizi legati alla salute, che sta per iniziare un programma in tre aziende in cui gli impiegati possono acquistare il dispositivo al prezzo stracciato a patto di raggiungere per due anni degli obiettivi prefissati di esercizio fisico.

I primi a beneficiare del programma, racconta il Wall Street Journal, saranno gli impiegati di Amgen Inc., una compagnia biotech, di DaVita HealthCare Partners, che fornisce servizi sanitari e quelli della compagnia di assicurazioni Lockton Cos. Chi aderirà al programma pagherà i 25 dollari iniziali e 13,6 dollari al mese se non raggiungerà obiettivi come fare almeno 10mila passi al giorno o totalizzare un certo numero di minuti quotidiani di esercizi di cardiofitness. “Questo è il primo programma che utilizza l’Apple Watch – afferma il Ceo di Vitality Adrian Gore -, e la compagnia farà dei report con i dati aggregati dei partecipanti e informazioni come il tasso di partecipazione e i risultati raggiunti”.

Quello di Vitality non è l’unico programma dedicato al fitness dei dipendenti, per cui secondo il quotidiano le aziende americane hanno speso nel 2015 in media 693 dollari per impiegato. Fitbit, ad esempio, che produce uno dei più braccialetti che registrano l’attività fisica più venduti tra gli indossabili, ha affermato di avere tra i clienti oltre mille compagnie.

fonte La Repubblica

Ibernazione: Scongelato il cervello di un coniglio

I ricercatori dell’azienda californiana 21st Century Medicine sono riusciti per la prima volta a “scongelare” con successo un cervello. Il test è stato eseguito utilizzando il cervello di un coniglio, le cui cellule cerebrali, dopo essere state portate a temperature sotto zero, non hanno riportato danni.

Gli ideatori, Gregory Fahy e Robert McIntyre, hanno spiegato sulla rivista Journal of Cryobiology che questa tecnica riesce a prevenire la disidratazione drenando il sangue e sostituendolo immediatamente con una sostanza che protegge i tessuti dalla formazione di cristalli di ghiaccio.

Ibernare con successo un cervello umano al momento è ancora un utopia per una serie di problemi tecnici come per esempio i danni prodotti dal freddo. Il cervello del coniglio è stato raffreddato a -135 gradi centigradi e poi “scongelato” senza riportare danni proprio perché i ricercatori per evitare la formazione del ghiaccio hanno rimpiazzato parte dell’acqua con una molecola (glutaraldeide) che protegge le cellule dai pericoli del congelamento e ne previene la disidratazione. Inoltre bisogna considerare che andrà riattivato l’organo ibernato e che la molecola utilizzata è tossica.

In tutti i casi si tratta di un importante passo in avanti come dimostra anche il premio che hanno ricevuto di 26mila dollari dalla Brain Preservation Foundation

Negli Stati Uniti stampati in 3D i primi tessuti biologici impiantabili nel corpo umano

Negli Stati Uniti, nel Wake Forest Baptist Medical Center in North Carolina, sono stati stampati in 3D i primi tessuti biologici: un orecchio di bambino, un muscolo e un frammento osseo di mascella.

Resistenti e funzionali anche dopo il trapianto sperimentale nel corpo di un topo, sono stati sviluppati nel laboratorio del pioniere della medicina rigenerativa Anthony Atala grazie ad un’innovativa stampante 3D presentata su Nature Biotechnology.

Per creare questo nuovo sistema di stampa Itop (Integrated Tissue and Organ Printing System) sono stati necessari più di 10 anni ma ora sono in grado di produrre tessuti personalizzati prendendo a modello le immagini ricavate da tac e risonanze magnetiche.

In pratica gli ugelli di questa stampante depositano nello stampo un materiale plastico biodegradabile, necessario per dare forma e robustezza al tessuto fino a completa maturazione, insieme ad uno speciale inchiostro biologico fatto di cellule immerse in una soluzione acquosa. Per consentire la sopravvivenza del tessuto e la vascolarizzazione dello stesso, i ricercatori hanno stampato al suo interno una rete di micro-canali che fanno fluire i nutrienti e l’ossigeno fino a quando il pezzo trapiantato non viene pervaso da un sistema di capillari sanguigni per essere integrato nell’organismo.

I tessuti biologici impiantati con successo sotto pelle nei topi a distanza di mesi non solo erano ancora in buone condizioni, ma perfino hanno iniziato un processo di integrazione con i tessuti vicini, con la formazione di nuovi vasi sanguigni e nervi.

I ricercatori hanno spiegato “La tecnica permette di creare tessuti strutturalmente stabili e delle dimensioni adatte: ora dobbiamo perfezionarla ulteriormente, anche per poter usare una più ampia varietà di cellule” infatti questi risultati sono ancora preliminari e sono solo un primo passo verso la produzione di organi pronti al trapianto.